QUALE SILENZIO?

C’è un aspetto che mi lascia molto perplesso in questa guerra tra Ucraina e Russia, tra Mondo Occidentale e Russia. Senza prendere posizioni nette sulle motivazioni del conflitto in sé, ma condannando senza appello l’attacco e l’invasione armata della Russia allo stato confinante e le scempiaggini che sul quel territorio si stanno compiendo, guardando e ascoltando i programmi televisivi russi, non solo quelli trasmessi a spezzoni dai talk show italiani, ma cercandoli pure con un’adeguata sottotitolazione italiana, francese o inglese, mi accorgo di una cosa: tutti, dico tutti, tutti i telecronisti, opinionisti, giornalisti sono pro guerra, pro Putin, contro l’Occidente. Tutti. Togliamo pure la giovane e coraggiosa cronista con il cartello scritto a pennarello dietro la speaker russa, passaggio veloce e di inizio crisi, consideriamo anche che è televisione di stato e che di altre non ce ne sono, o meglio, non ce ne sono più, ma pure da noi o in Francia c’è una televisione di stato, come possibile che, tranne per coloro che non hanno già provveduto a scappare dalla Russia, non ci sia neppure una voce di dissenso in quei programmi? La dittatura, giusto, se lo fai, magari anche celatamente, devi avere già stillato un bel testamento come minimo. Ma non è questo il punto. Il punto è che quegli spettacoli hanno degli utenti, qualcuno, molti che li guardano. Ora su una popolazione di circa 146,028,800, centoquarentaseimilioniventottomilaottocento, esseri umani (e togliamo pure chi è fuggito, i bambini, chi non ha capacità di intendere per qualunque motivo, rimangono sempre tanti), come è possibile che nessuno si accorga, pensi, sospetti che qualcosa non funziona? Che non può essere reale? Chi se ne avvede tace per i motivi soprascritti, alcuni nelle capitali contestano, pochi, un numero irrisorio. Non c’è dissenso nel popolo russo. Perché? Atteggiamento storico? Nazionalismo a oltranza? Rimpianto e desiderio dell’impero? Ignoranza? Tutto assieme? Forse, ma un sospetto viene. Quel popolo non sa cosa è la democrazia e non certo per propria scelta o responsabilità. Non l’ha mai avuta, basta leggere la storia, ma neppure questo è il nodo cruciale. Cosa sia la democrazia anche se non la si è mai vissuta, si può capire e averne coscienza, studiando la storia del passato e quella presente, farsi un’idea critica e, se necessario reagire. Io, come la maggior parte della gente nel nostro Paese oggi come oggi, non ho vissuto il fascismo sulla propria pelle, ma l’ho studiato, ho letto, ho ascoltato le testimonianze e so cosa è il fascismo e lo rifiuto, come la maggioranza si spera, o almeno rigetta quella forma di fascismo, perché (opinione personale) le nuove destre, tranne le estremiste, hanno non troppo a che fare col fascismo storico. Se non altro non ne hanno la statura intellettuale (nelle estreme mi sembra proprio assente), per quanto così sviluppata non era pure allora, casi a parte naturalmente e penso a Gentile e pochi ancora.

È come se nei libri di storia russi, dalle prime classi elementari fino ai licei, la parola democrazia e tutto ciò che vi gira attorno fosse inesistente, bandita. Però di scrittori, filosofi, poeti, artisti che ne hanno trattato e non in maniera superficiale, ne hanno avuti, anche se sempre da una prospettiva particolare, cioè tenendo sempre presente la Grande Madre Russia, e si legga quanto dice Kundera su Solženicyn nel suo Un Occidente prigioniero, prima citando Leszek Kołakowski: «Benché sia convinto, come Solženicyn, che il sistema sovietico abbia superato lo zarismo quanto a carattere oppressivo … non mi spingerò sino a idealizzare il sistema contro il quale i miei antenati hanno combattuto in condizioni terribili, sono morti, sono stati torturati e hanno subito umiliazioni… Sono convinto che Solženicyn tenda a idealizzare lo zarismo, cosa che, come me, nessun altro polacco può in alcun modo accettare» (p.47), poi di sua penna: “Solženicyn, nel denunciare l’oppressione comunista, non fa certo appello all’Europa come a un valore fondamentale per il quale valga la pena morire… No, la frase «morire per la patria e per l’Europa» non potrebbe essere concepita né a Mosca né a Leningrado, ma appunto a Budapest o Varsavia” (p.23).

Forse li mediano i testi e le opere in generale, quando non le censurano, forse li spiegano a modo loro, epurandoli di quei contenuti, evidenti, che trattano l’argomento. Chissà? Ma il concetto di democrazia sembra assente nel popolo russo, perché democrazia, tra le altre cose, vuol dire soprattutto capacità di critica, dubbio, consapevolezza che esiste qualcosa d’altro, volontà di volere essere liberi, individualmente e come società, impegno, partecipazione.

Sono il primo che non si permetterebbe di biasimare chi, pur dissentendo, preferisce starsene zitto o fuggire, piuttosto che subirne le conseguenze, lo farei pure io, sicuramente, ma se il sentimento e, soprattutto, la conoscenza della democrazia c’è in un popolo, anche se solo a livello intellettuale, qualcuno che non ci sta, che si ribella costi quel che costi, c’è sempre, c’è sempre stato, in tutti i luoghi e in tutte le situazioni. Perché in Russia non c’è? Non ho una risposta, solo supposizioni, intuizioni, opinioni e tali rimangono.

Ma un altro piccolo dubbio mi si affaccia alla mente. Non si fa altro che dire in questi tempi che il popolo russo non ha colpa, non è responsabile, solo Putin e il suo entourage ne ha. Il popolo non ha colpe, non almeno dirette. Non ne sono convinto e non è russofobia, la cultura russa, almeno in molte sue espressioni, mi piace, mi piacciono le favole, l’arte, la letteratura (adoro Majakovskij), il cinema, il teatro, la musica, perfino il balletto e sono convinto che la Russia sia un paese europeo e che senza non se ne può fare a meno, è importante. No, non sono anti-russo, più di quanto sia anti-americano, le considero solo culture differenti dalla nostra, italiana e europea occidentale e centrale. Ma quando si dà sostegno a un dittatore o un a un qualsiasi regime autocratico e violento, si è complici, non ci si può nascondere dietro una cortina di “io non sapevo, decidono loro ecc.”. E mi danno conforto in ciò le parole di un filosofo della portata di Sossio Giametta, forse il maggior filosofo italiano, là dove commentando un libro di Nolte scrive a proposito del popolo tedesco (e può valere anche per quello italiano durante il fascismo): “Il popolo tedesco porta la più grande responsabilità per il sostegno dato fino all’ultimo a Hitler e al suo regime, che se non è il male assoluto (di assoluto nelle cose umane non esiste niente, come ben ha notato Nolte), è certamente un male massimo, se anche solo la soluzione finale del problema ebraico da parte del Terzo Reich si può considerare ‘il massimo e più terribile assassinio di massa della storia universale’ (…) Quindi il senso di colpa dei tedeschi va mantenuto e non smussato, spuntato. I tedeschi non dovranno mai assolversi e dovranno invece essere mobilitati dal senso di colpa a fare ammenda e a comportarsi al contrario di come si sono comportati” (Caleidoscopio filosofico, 2022, p. 217). Anche se una differenza c’è, e cioè il popolo tedesco come quello italiano, come quello spagnolo, come quello cileno, come quello cinese, una parte di esso o se si vuole singoli individui, si sono ribellati, hanno detto no pubblicamente e poi, va bé, magari sono stati fatti sparire dalla circolazione. Capita, purtroppo.

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