DANTE E IL CASTELLO DELLA PIEVE

Tante le celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante, ma pochi si sono chiesti come avvenne la scelta del Castello della Pieve quale luogo per decretare l’esilio del poeta da Firenze. Due pagine del 1967 del Prof. Mario Moscardino che ricostruisce storicamente l’evento e le cause della scelta del luogo, utile a rinfrescare la memoria.

IL CASTELLO DELLA PIEVE D’ ICO

E UN CONVEGNO STORICO PER L’ESILIO DI DANTE

Era l’ultimo di settembre del 1301. Dalla turrita San Gimignano, partiva in forma solenne un’Amsciata di scelti personaggi, scortata da palafrenieri e da guide, per adempiere all’impegno assuntosi dalla vetusta Città toscana verso il Sire amico, Carlo di Valois, dei Reali di Francia. Questi era in Italia, su invito di papa Bonifacio VIII, per muover guerra a Federico d’Aragona e prender possesso della Sicilia, secondo il desiderio dello stesso Pontefice. Durante lo svolgersi delle operazioni di guerra, altre incombenze venivano affidate da Papa Bonifacio a Carlo di Valois, convocato

allo scopo, in Anagni, dove veniva trattenuto come ospite del Pontefice, che così, con migliore efficacia, poteva impartirgli ordini con tutti i necessari consigli e le più opportune raccomandazioni.

Alla Corte del grande Papa, in quel periodo, giungevano, si può dire giornalmente, ricorsi, rimostranze e appelli di aiuto dai fuoriusciti delle Città della Toscana, contro le signorie dominanti, di Firenze in particolare. Al Pontefice, da ogni parte pervenivano denunce di abusi e di scontri fra

le opposte fazioni, a causa dei quali Dante stesso si era recato a Roma, ove tuttora si trovava, quale Ambasciatore, per sostenere i diritti della parte bianca. È dunque in questo clima che papa Bonifacio aveva dato formale incarico a Carlo di Valois perché si portasse senza indugio nella Toscana,

ove, pur rispettando i diritti e i privilegi delle singole città, operasse energicamente per frenare gli abusi dei dirigenti, avendo a obiettivo principale la cessazione delle ostilità fra le Parti in contesa.

Carlo si avviò a tappe forzate per la via del Montefeltro, onde raggiungere la Toscana; convinto come era che le circostanze e gli spiriti accesi di quelle popolazioni gli avrebbero reso particolarmente difficile lo espletamento dell’assunto incarico; durante il viaggio, e cioè il 20 settembre, egli pensò di indirizzare una lettera all’amica città di San Gimignano, nella quale, fra l’altro, diceva: “Saper essi bene, come il Papa, fra gli altri incarichi addossatigli, lo mandava in Toscana, per metter pace nella Parte di Santa Chiesa e abbassare coll’aiuto del Signore, i discordanti da essa. Obbediente ai comandi del Santissimo Padre, essersi egli partito da Corte a questa volta, per giungervi a continue giornate con l’aiuto del Signore.

E confidando egli grandemente nella loro pronta devozione verso la Santa Madre Chiesa, la Casa di Francia e la sua persona, perciò, pregarli istantemente, a voler mandargli savi e fidati Ambasciatori, e affezionati alla Chiesa e sua Parte, in Castel della Pieve, verso il 4 di ottobre che sperava di esservi, Mentre aggiungeva assicurazioni, perché di nulla avessero a temere da lui le Città e i Comuni toscani, altre lettere segrete partivano dal suo fidato ” Musciatto ” il malvagio Cavaliere Messer Musciatto Franzetti” come lo qualifica Dino Compagni nella sua celebre ” Cronica” , con le quali

si raccomandava al Comune di San Gimignano perché inviasse persone fidate alla Parte della Chiesa e di Messer Carlo. Risposero senza ritardo i Sangimignanesi: “Aver essi ricevuto con la debita devozione le lettere del Sire Francese; aver deliberato in piena conformità del loro contenuto, perché nel giorno e nel luogo indicato si presenterebbero dinanzi a Lui, con l’aiuto di Dio, gli Ambasciatori richiesti”. Fu così, che verso il Castello della Pieve, in territorio del Comune di Mercatello sul Metauro, mossero gli Ambasciatori di San Gimignano. Il Castello della Pieve d’Ico, era senza dubbio luogo ben scelto per un incontro di tanta importanza e ciò per trovarsi a cavaliere dell’alto Metauro e quasi alle sue sorgenti, in seno a quella “Massa Trabaria” che nell’epoca storica alla quale ci riferiamo formava come un Feudo riservato alla Chiesa di Roma, per le cui Basiliche doveva fornire le travi di legno che allo scopo partivano, trasportate senza spesa dalle acque dei fiumi, munite della famosa sigla : “A. V. F.” (Ad usum Fabricae). Il maniero era allora in perfetta efficienza e trovavasi sotto il diretto dominio dell’Arcipretura dell’antica Pieve d’Ico, attorno alla quale, da pochi anni, era sorto il nuovo Luogo murato di Mercatello, fortificato con rigoroso criterio, tanto da fronteggiare ogni eventuale invasione. In quanto al nome si era voluto mantenere quello di Mercatello al Metauro, perché fosse mantenuto il ricordo delle funzioni di mercato in senso economico per oltre due secoli assolte dalla località nei confronti delle popolazioni stanziate attorno alla Pieve. La Pieve rimase pur sempre sotto la diretta giurisdizione di Roma, cioè nullius Dioecesis, fino all’avvento di Papa Urbano VIII (Barberini) che la sottopose alla novella Diocesi della Città di Urbania, il cui nome traeva origine dal suo stesso nome. Come mai fosse venuto in mente a Re Carlo di Valois di

volere un sì importante convegno al Castello della Pieve, non è difficile capire; basterà richiamarsi al fatto che in Castello della Pieve, alla ” Massa Trabaria”, previa intesa coll’Arciprete dell’epoca, che ne era in possesso, erano stati confinati dalla Signoria di Firenze molti fra i capi della Parte

Bianca spodestati e, primo fra essi, quel Messer Corso Donati, “di già famoso in tutta Italia” come dice Dino Compagni. Questi ha lasciato infatti memoria che il Donati, con i principali suoi adepti, trovavasi confinato in detto Castello, che “gli ruppe e andossene a Roma e non obbedì: il perché

fu condannato nell’avere e nella persona”. Molte le sollecitazioni, come quelle di Nero Cambi, compagno degli Spini, (Banchieri del Papa) in Corte di Roma, per mezzo di Messere Iacopo Guatani (sic) parente del Papa, perché Carlo di Valois intervenisse a porre rimedio a quanto avveniva in Firenze, dove la vita per i Guelfi diveniva sempre più difficile ad opera dei Ghibellini, favoriti dai Cerchi. Da tutto quanto esposto si arguisce come ben a ragione, Re Carlo avesse prescelto “Castel della Pieve” che per essere inoltre ai confini della regione toscana, semplificava, agevolava e accelerava i preliminari contatti e l’affiatamento con gli ambasciatori di San Gimignano, i quali peraltro giunsero puntuali al convegno, nel convenuto giorno del 4 ottobre 1301.

Tale data, in un nostro precedente studio storico “Mercatello dalle origini all’impero” ed. Scuola Tip. “Bramante” Urbania, 1937, noi proponevamo fosse ricordata, non tanto per le conseguenze storiche che dall’incontro di Castel della Pieve derivarono alle Comunità toscane, i cui diritti ed i cui privilegi da Carlo di Valois vennero feriti, contrariamente agli impegni presi ed alle promesse fatte, ma sopratutto perché a questa triste data restò purtroppo ancorato il definitivo esilio di Dante dalla sua Città natale. A distanza di molti anni, oggi la nostra proposta sostenuta dal Parroco pro tempore, ha trovato finalmente intelligente e storico accoglimento, con l’apposizione di una lapide ricordo, ad opera del Sindaco di Mercatello, sul rudere del torrione del Castello della Pieve d’Ico. Ù

Il nuovo ricordo storico, che va riguardato come un serio tributo di omaggio del ridente Comune marchigiano alla memoria del divino poeta, è servito e servirà sempre di più a completare la diffusione delle conoscenze di quel mondo dantesco che ha caratterizzato e determinato la vita di uno dei più grandi italiani di tutti i tempi. Noi siamo certi che il pensiero di chi percorrerà la bellissima arteria Senese – Aretina che conduce al valico di Bocca Trabaria, oltre ad essere attratto dalle grazie del movimentato vario panorama, non mancherà di abbandonarsi alla voce dei ricordi che il Castello e la lapide propongono.

L’abbandono spirituale, porti ognuno a considerare con la grandezza di Dante, l’amarezza ed il tormento accesi nella sua vita dalla discordia, dalla gelosia e dalla vendetta; venga da ciò in tutti desiderio di pace, di serenità e di fraternità.

Circa la bibliografia che vale a confortare il nostro ricordo storico, fino ad oggi ancora non molto noto specie per l’ambientazione, riteniamo sufficiente richiamarci al Capo XII dello studio del Senatore Isidoro Del Lungo, ” Dino e la sua Cronica „ Volume I, Edizione Le Monnier, Firenze 1879.

Mario Moscardino, Il Castello della Pieve d’Ico e un convegno storico per l’esilio di Dante, in La Zagaglia : rassegna di scienze, lettere ed arti, A. IX, n. 33 (marzo 1967), pp. 60-66.

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