LA GIORNATA MONDIALE PER LA TERRA (indirizzato soprattutto a professori, educatori e formatori).

 

Abbiamo celebrato la Giornata Mondiale per la Terra, una bella iniziativa, come tutte le giornate dedicate a…, ma è servito a qualcosa al di là del tam tam mediatico? Il problema reale è stato colto nel centro? Ho i miei dubbi. Nulla può realmente mutare finché l’atteggiamento mentale e culturale dell’uomo non cambierà e questo, fin dalla paideia greca e poi attraverso l’humanitas latina, la paideia cristiana, il pensiero rinascimentale, per giungere alla bildung del ‘700 e ‘800, è tutt’oggi, nonostante i tentativi di revisione del ‘900, improntato sull’umanesimo e sull’umanismo e, quindi, su una concezione fortemente antropocentrica del mondo e della visione della natura. Tutto ciò è stato sempre trasmesso essenzialmente attraverso l’educazione e finché tale atteggiamento non verrà mutato a poco servono gli appelli dei Grandi della Terra, compresi quelli dall’infallibilità divina, delle varie Grete e delle manifestazioni più o meno mediatiche.

L’uomo, anzi sarebbe giusto dire l’animale umano, è un essere tecnico, non naturale, nel senso che, senza stare a elencare i vari studiosi che hanno parlato fino allo sfinimento, non è dotato dalla natura dell’istinto, o in quantità molto ridotta, per cui è stato ed è costretto per sopravvivere a trasformare il mondo e renderlo vivibile, spesso esagerando. Non importa neppure qui se questa mancanza istintuale è una carenza, e la tecnica quindi una compensazione, o se la tecnica fa parte dell’evoluzione dell’uomo. Sta di fatto che senza tecnica l’uomo sarebbe estinto. Da qui il dualismo cultura-natura, dualismo che andrebbe superato.

La cultura e il modo di vivere e pensare si trasmettono essenzialmente con la cultura e questa, tradizioni comprese, con l’educazione che, anche oggi, è fortemente responsabile di formare una concezione ideologica fedele al sistema di credenze antropocentrico e di tutto ciò che a esso è legato, stili di vita, modi di interpretare la realtà e la natura compresi.

Ciò avviene tramite la mediazione della scuola, della famiglia, del sapere popolare, delle agenzie competenti e dei media e mira a presentare e far apprendere specifiche prospettive antropologiche, incentrate soprattutto su cosa è, può, deve essere l’uomo e quale deve essere, di conseguenza, il suo rapporto con ciò che umano non è, ma si caratterizza come inumano, disumano, subumano. Il fine è quello di mantenere concezioni, pregiudizi, modelli, valori, ideali ecc. che tendono a riaffermare la superiorità dell’essere umano come ente unico e privilegiato, sia da un punto di vista etico, epistemologico, nonché ontico.

In questa maniera gli individui (specie quelli in via di formazione come i bambini e gli adolescenti, ma ormai anche gli adulti, seguendo il lifelong learning, e qui bisognerebbe interrogarsi sul significato di formazione, ma sarà forse motivo di una prossima riflessione), sono condizionati dalla suggestione di un immaginario collettivo e dall’ambiente culturale antropocentrico che li circonda, e li conduce a recepirsi e a prodursi poi in esperienze di vita di un certo tipo.

Chi scrive non è un animalista militante, né un vegetariano (dopotutto i canini se ci sono a qualcosa serviranno), né un vegano, anche se profondamente rispettoso di queste scelte che poi spesso si rilevano vincenti da un punto di vista sanitario, ma anche queste “tendenze” di fatto, come il resto della cultura, forniscono già ai bambini un’immagine del mondo in cui domina la supremazia dell’uomo sugli altri animali e sulla natura, conducendo a un atteggiamento antiecologico e, in particolar modo, specista (non dimentichiamo che già la Bibbia recita: “Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra (…) Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra (…)Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo (…)”, corsivo mio).

Gli esempi di tali comportamenti a cui non facciamo caso, in quanto ormai connaturati al nostro modo d’essere, sono molteplici, per cui è scontato che l’uomo che porta al guinzaglio il cane è il padrone, e ora, purtroppo anche con danno per la qualità dei programmi, pure in televisione si insegna come si cucina la carne degli animali, senza pensare se quell’animale ha sofferto prima, con una conseguenza non solo emotiva, ma anche affettiva, per cui certi animali sono degni di particolari attenzioni (un cane o un gatto che soffre crea indignazione, un pollo appeso in macelleria no), e psicologica, che partecipano alla formazione del comportamento e al campo esperienziale del discente e a decodificare e organizzare in senso unilaterale le informazioni provenienti dall’ambiente. Per esempio la carne degli animali si vende a pezzi dopo che questi sono stati squartati e nessuno si domanda se quell’animale abbia sofferto o meno, gli animali non umani sono chiusi nelle gabbie, negli zoo, o usati per particolari lavori, da traino, da compagnia, da caccia, da guardia ecc., quando non da cavie, quindi piegati alle esigenze umane, senza che ciò generi indignazione, sconcerto o almeno un certo livello di riflessione. Caccia, pesca, competizioni sono considerati normali sport dalla nostra cultura, anzi perfino formativi. Sono atteggiamenti che vengono naturalizzati, diventano giusti a priori.

Gli animali e la natura in generale nella cultura umanistica e antropocentrica non hanno un valore in sé, ma solo uno strumentale, quando non degenerativo, come nell’uso di certe espressioni abituali quali: sei come una bestia, ti comporti come un animale, sembri una scimmia, ti sei ridotto a un vegetale, sei viscido come un serpente, hai il cervello di una gallina, sei stato preso all’amo come un pesce, vivi nella giungla, non sei buono neanche per i cani ecc.

In questa maniera si apprende, più o meno consapevolmente, che il senso dell’ambiente naturale è quello di essere al servizio dell’uomo, ente superiore per nascita e elezione e a priori, per i propri scopi e per il proprio benessere estetico, spirituale, psicologico, di salute e, soprattutto, economico e di supporto tecnico, nonché come serbatoio di energie e materiale, finché ci sono. Questo dominio assoluto e incondizionato dell’animale umano sulla natura viene meno solo in occasione dei grandi disastri naturali, come nel periodo che stiamo vivendo, quando si fa presente un naturale che sfugge comunque al suo controllo.

La concezione antropocentrica come fondamentale modo d’essere uomo è presente nella normale vita quotidiana grazie alla mediazione di dispositivi sociali direttamente o indirettamente adibiti allo scopo e che attraverso l’esperienza e l’educazione inducono a considerare come naturale e universalmente accettata la supremazia dell’umano e della propria specie su tutte le altre.

L’unica via d’uscita da tutto ciò sarebbe tirarsi fuori da una concezione umanistica e antropocentrica del mondo, cosa già iniziata da personaggi quali Freud, Marx, Nietzche, Heidegger, e più di recente, Foucault, Anders, Sloterdijk, solo per citarne qualcuno e, ma siamo già in ambito del pensiero posthuman, da Marchesini, Rosi Brandotti, Donna Harway, Baldhmigton e Wolfe, Ferrante e, negli anni Ottanta, preannunciato da un certo Massa, nonché dalla letteratura, dal cinema e dall’arte contemporanei, fin dagli anni Settanta del secolo scorso (storica la mostra del 1992 intitolata appunto Posthuman curata Jeffrey Deich a Losanna, con la partecipazione di artisti come Knous, Orland, Stelac, Cindi Sherman, Mike Kelly, Charles Ray, Paul Mc Carthy, tutta la grande arte del periodo insomma, e che di fatto ha rilanciato il problema a livello globale).

Quali i mezzi e quali modi per attuarla non solo a livello teorico e senza illuderci che sia sufficiente introdurre dei computers in classe (e si consideri che qui si è parlato solo di alterità naturale, ma ne esiste una, e non meno importante, anzi di primo piano, che è quella tecnico-scientifica, si pensi solo ai movimenti transumanisti che ne rappresentano l’estremizzazione), è ancora da trovarsi, nonostante il lavoro in atto di filosofi, pedagoghi, sociologi, psicologi, scienziati e del mondo dell’arte, e forse sarà oggetto di una nuova riflessione, ma sarebbe già importante, anzi fondamentale, che almeno chi è addetto all’educazione delle nuove generazioni cominciasse a rifletterci sopra e a gettare, magari, uno sguardo al di là del confine umanistico, umanista e antropocentrico in cui siamo stati anche tutti noi educati.

 

1 commento su “LA GIORNATA MONDIALE PER LA TERRA (indirizzato soprattutto a professori, educatori e formatori).”

  1. Sono pienamente d’accordo. Hai colto il punto. A proposito di Bibbia, che è stata scritta da uomini per altri uomini, il vero “peccato originale” risiede proprio nell’avere instaurato questo pensiero antropocentrico, che altre culture non hanno, la nostra si. Penso, come te, che bisognerebbe ri/formare le persone e trovo naturale che la formazione continui anche dopo una certa età così come continua la vita stessa. Sarebbe anche fattibile, grazie agli strumenti che abbiamo oggi, ma la verità è che cambiare il nostro modo di pensare può apparire come un’impresa titanica. E le persone non hanno voglia di sforzarsi, di cambiare status quo: lo avvertono come un pericolo. Tutti abbiamo un giustificato timore per le incognite del cambiamento ma tanti inorridiscono solo all’idea di dovere uscire dallo schema che gli è stato inculcato. Mi piacerebbe se più di qualcuno approdasse alle teorie di Donna Haraway, ne sarei davvero felice. Nel suo libro uscito l’anno scorso -profetico, visto il sottotitolo- ha descritto, con grande capacità di visione, una prospettiva per affrontare le tematiche del nostro rapporto con il “resto”. Naturalmente in chiave anti-antropocentrica. Dopotutto il cervello se c’è a qualcosa servirà.

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