PARITÀ DI GENERE, UN PO’ DI STORIA.

 

Siamo ben lungi dall’aver raggiunto quella che si può definire la parità di genere tra uomo e donna, non uguaglianza, questa è impossibile, visto che uomo e donna, maschio e femmina, sono diversi, nel fisico e nella psiche, così come un adulto è diverso da un bambino o da un adolescente. Non uguaglianza, ma parità sì, e non con un moto che va dall’alto al basso, ma in linea orizzontale, poiché la parità non è un diritto da conquistare, ma un diritto che deve essere già presupposto in “natura”. Eppure ci sono stati momenti della storia, non così lontani, in cui era “naturale” che si affermasse la superiorità dell’uomo sulla donna come qualcosa non solo di culturale, ma di sociale, accettato da gran parte della popolazione e istituzionalizzato. Mi riferisco al secondo ventennio del secolo scorso, quando i diritti delle donne erano “gioiosamente” calpestati e sancita la presunta inferiorità da leggi dello stato, ma di questo in maniera chiara nei libri di storia non si parla. Per rinfrescare la memoria e ricordando che a volte la storia si ripete, qui di seguito alcuni documenti del periodo.

* Stralcio di una intervista rilasciata da Benito Mussolini a Le Journal il 12 novembre 1922:

C’è chi dice che intendo limitare il diritto di voto. No! Ogni cittadino manterrà il suo diritto di voto per il Parlamento di Roma […] Consentitemi anche di ammettere che non credo estendere il diritto di voto alle donne. Sarebbe inutile. Il mio sangue si oppone a tutti i tipi di femminismo quando si tratta di donne che partecipano alle questioni statali. Certo, una donna non dovrebbe essere una schiava, ma se le do il diritto di voto, sarei ridicolo. Nel nostro stato, non dovrebbe essere considerata”.

* Stralcio di una intervista rilasciata da Benito Mussolini a Il Popolo d’Italia del 31 agosto 1934 :L’esodo delle donne dal campo di lavoro avrebbe senza dubbio una ripercussione economica su molte famiglie, ma una legione di uomini solleverebbe la fronte umiliata e un numero centuplicato di famiglie nuove entrerebbero di colpo nella vita nazionale. Bisogna convincersi che lo stesso lavoro che causa nella donna la perdita degli attributi generativi, porta all’uomo una fortissima virilità fisica e morale”.

* Con il Regio Decreto 2480 del 9 dicembre 1926 le donne vengono escluse dalle cattedre di lettere e filosofia nei licei, saranno private dell’insegnamento di alcune materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie:

Art. 11. Ai concorsi e agli esami di abilitazione sono ammessi indistintamente gli uomini e le donne, fatta eccezione dei concorsi delle classi IV, V (limitatamente ai concorsi per l’istituto tecnico) VI e VII (limitatamente ai concorsi per il liceo classico e il liceo scientifico) di cui all’annessa tabella, che sono riservate agli uomini, e dei concorsi e degli esami di abilitazione per maestra giardiniera negli istituti magistrali, che sono riservati alle donne.

* Non potranno ricoprire il ruolo di presidi di istituto. Già il Regio Decreto 1054 del 6 maggio 1923 – Riforma Gentile – vietava alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie:    

Art. 12 : A capo di ogni Istituto è un preside che ne ha il governo insieme con il Collegio dei professori. I presidi sono scelti dal Ministro tra i professori ordinari provveduti di laurea con almeno un quadriennio di anzianità di ordinario.

Dalla scelta sono escluse le donne.

* La Riforma Gentile istituisce, tra l’altro, il Liceo femminile. I licei femminili, recita l’articolo 65, hanno :

Art. 65 I licei femminili hanno per fine d’impartire un complemento di cultura generale alle giovinette che non aspirano ne’ agli studi superiori ne’ al conseguimento di un diploma professionale.

Nel liceo femminile si insegnano lingua e letteratura italiana e latina, storia e geografia, filosofia, diritto ed economia politica; due lingue straniere, delle quali una obbligatoria e l’altra facoltativa; storia dell’arte; disegno; lavori femminili ed economia domestica; musica e canto; uno strumento musicale; danza.

* La scuola professionale femminile

Art. 7:La scuola professionale femminile ha lo scopo di preparare le giovinette all’esercizio delle professioni proprie della donna e al buon governo della casa. Nella scuola professionale femminile si insegnano: cultura generale (italiano, storia, geografia, cultura fascista), matematica, nozioni di contabilità, scienze naturali, merceologia, disegno, nozioni di storia dell’arte, economia domestica, igiene, lavori donneschi, lingua straniera, religione.

* La Legge del 1934, n. 221 (che converte in legge il Decreto-Legge n. 1554 del novembre 1933), limiterà notevolmente le assunzioni femminili, stabilendo sin dai bandi di concorso l’esclusione delle donne o riservando loro pochi posti:

LEGGE 18 Gennaio1934, n.221

Articolo Unico

È CONVERTITO IN LEGGE IL R. DECRETO-LEGGE 28 NOVEMBRE 1933, N. 1554, CONTENENTE NORME SULLE ASSUNZIONI DELLE DONNE NELLE AMMINISTRAZIONI
DELLO STATO.

ORDINIAMO CHE LA PRESENTE, MUNITA DEL SIGILLO DELLO STATO, SIA INSERTA NELLA RACCOLTA UFFICIALE DELLE LEGGI E DEI DECRETI
DEL REGNO D’ITALIA, MANDANDO A CHIUNQUE SPETTI DI OSSERVARLA E DI FARLA OSSERVARE COME LEGGE DELLO STATO.

R. DECRETO-LEGGE 28 NOVEMBRE 1933, N. 1554,

Art. 1 L’assunzione delle donne agli impieghi presso le Amministrazioni dello Stato e degli altri Enti od Istituti pubblici, ai quali esse sono ammesse in base alle disposizioni in vigore nonché agli impieghi privati, è limitata alla proporzione massima del dieci per cento del numero dei posti. È riservata alle pubbliche Amministrazioni la facoltà di stabilire una percentuale minore nei bandi di concorso per nomine ad impieghi.

Le pubbliche Amministrazioni e le aziende private che abbiano meno di dieci impiegati, non possono assumere alcuna donna quale impiegata. E’ fatta eccezione nei riguardi nelle aziende private per le parenti od affini sino al quarto grado del titolare dell’azienda.

Art. 2 Oltre i casi già previsti dalle vigenti leggi, gli ordinamenti delle singole Amministrazioni stabiliranno l’esclusione della donna da quei pubblici impieghi ai quali sia ritenuta inadatta, per ragioni di inidoneità fisica o per le caratteristiche degli impieghi stessi.

Art. 3 Le disposizioni del presente decreto non si applicano per gli impieghi pubblichi che, in considerazione delle loro caratteristiche sono riservati alle donne in via esclusiva dalle disposizioni in vigore e per gli impieghi pubblici e privati che risultano particolarmente adatti per le donne e che saranno successivamente specificati con decreto Reale.

Art. 4 Le aziende private sono tenute ad inviare ai rispettivi Consigli provinciali delle corporazioni, entro un mese dalla entrata in vigore del presente decreto, un elenco numerico del personale dipendente distinto per categorie e sesso. Copia di tale elenco deve essere conservata presso la sede della azienda e aggiornato con le successive variazioni. Tale copia deve essere esibita a richiesta dell’Autorità. I contravventori alle disposizioni del presente articolo sono puniti con l’ammenda da L . 200 a L.2000.

Art.5 Le donne che, alla data dell’entrata in vigore del presente decreto, occupano, presso Amministrazioni dello Stato ed altri Enti od Istituti pubblici, posti in soprannumero rispetto alla percentuale fissata con l’art.1, saranno mantenute in servizio fino al compimento dell’anzianità minima di carriera richiesta per il collocamento in posizione di quiescenza e, se assunte con contratto a termine saranno mantenute in servizio fino alla scadenza del contratto.

Qualora tale scadenza si verifichi prima di un triennio dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il contratto potrà essere prorogato fino al compimento di detto triennio.

Le donne che, alla data dell’entrata in vigore del presente decreto, occupano presso aziende private posti in soprannumero rispetto alla percentuale fissata con l’art.1, saranno entro il termine di tre anni gradualmente sostituite con personale maschile, previa la corresponsione a loro favore dell’indennità di licenziamento a norma delle disposizioni in vigore.

Qualora, nell’attuazione della disposizione di cui al primo comma, il numero delle impiegate che, avendo uguale anzianità, abbiano raggiunto contemporaneamente il limite minimo di servizio per essere collocate in posizione di quiescenza, sia superiore a quello dei posti di soprannumero rispetto alla percentuale di cui all’art.1, saranno osservati per la conservazione dell’impiego in quanto applicabili alle donne i criteri preferenziali stabiliti dal R. decreto-legge 5 luglio 1934-XIII, n. 1176, per l’ammissione ai pubblici impieghi.

Nell’attuazione della disposizione di cui al secondo comma, le aziende private osserveranno, per la determinazione delle impiegate che dovranno essere mantenute in servizio nei limiti della percentuale di cui all’art.1, e per la determinazione dell’ordine di licenziamento di quelle eccedenti tale percentuale, gli stessi criteri preferenziali in quanto applicabili alle donne, stabiliti dal R. decreto-legge 5 luglio 1934-XIII, n. 1176.

Art.6 Sono abrogati il R. decreto-legge 28 novembre 1933, n. 1554, e ogni altra disposizione contraria al presente decreto o col medesimo incompatibile.

Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Duce, Primo Ministro proponente, è autorizzato alla presentazione del relativo disegno di legge.

* Successivamente con la Legge 5 settembre 1938 n. 1514 si obbligava ad assumere un contingente femminile non superiore al 10% (in pratica ribadendo la precedente n. 221 del 1934), ne metterà in discussione le capacità fisiche e attitudinali escludendola dai lavori non adatti:

Regio Decreto Legge 5 settembre 1938 – XVI – n. 1514

Art. 1

L’assunzione delle donne agli impieghi presso le Amministrazioni dello Stato e degli altri Enti od Istituti pubblici, ai quali esse sono ammesse in base alle disposizioni in vigore nonché agli impieghi privati, è limitata alla proporzione massima del dieci per cento del numero dei posti. E’ riservata alle pubbliche Amministrazioni la facoltà di stabilire una percentuale minore nei bandi di concorso per nomine ad impieghi.

Le pubbliche Amministrazioni e le aziende private che abbiano meno di dieci impiegati, non possono assumere alcuna donna quale impiegata. E’ fatta eccezione nei riguardi nelle aziende private per le parenti od affini sino al quarto grado del titolare dell’azienda.

Art. 2 Oltre i casi già previsti dalle vigenti leggi, gli ordinamenti delle singole Amministrazioni stabiliranno l’esclusione della donna da quei pubblici impieghi ai quali sia ritenuta inadatta, per ragioni di inidoneità fisica o per le caratteristiche degli impieghi stessi.

Art. 3 Le disposizioni del presente decreto non si applicano per gli impieghi pubblichi che, in considerazione delle loro caratteristiche sono riservati alle donne in via esclusiva dalle disposizioni in vigore e per gli impieghi pubblici e privati che risultano particolarmente adatti per le donne e che saranno successivamente specificati con decreto Reale.

Art. 4 Le aziende private sono tenute ad inviare ai rispettivi Consigli provinciali delle corporazioni, entro un mese dalla entrata in vigore del presente decreto, un elenco numerico del personale dipendente distinto per categorie e sesso. Copia di tale elenco deve essere conservata presso la sede della azienda e aggiornato con le successive variazioni. Tale copia deve essere esibita a richiesta dell’Autorità. I contravventori alle disposizioni del presente articolo sono puniti con l’ammenda da L . 200 a L.2000.

Art.5 Le donne che, alla data dell’entrata in vigore del presente decreto, occupano, presso Amministrazioni dello Stato ed altri Enti od Istituti pubblici, posti in soprannumero rispetto alla percentuale fissata con l’art.1, saranno mantenute in servizio fino al compimento dell’anzianità minima di carriera richiesta per il collocamento in posizione di quiescenza e, se assunte con contratto a termine saranno mantenute in servizio fino alla scadenza del contratto.

Qualora tale scadenza si verifichi prima di un triennio dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il contratto potrà essere prorogato fino al compimento di detto triennio.

Le donne che, alla data dell’entrata in vigore del presente decreto, occupano presso aziende private posti in soprannumero rispetto alla percentuale fissata con l’art.1, saranno entro il termine di tre anni gradualmente sostituite con personale maschile, previa la corresponsione a loro favore dell’indennità di licenziamento a norma delle disposizioni in vigore.

Qualora, nell’attuazione della disposizione di cui al primo comma, il numero delle impiegate che, avendo uguale anzianità, abbiano raggiunto contemporaneamente il limite minimo di servizio per essere collocate in posizione di quiescenza, sia superiore a quello dei posti di soprannumero rispetto alla percentuale di cui all’art.1, saranno osservati per la conservazione dell’impiego in quanto applicabili alle donne i criteri preferenziali stabiliti dal R. decreto-legge 5 luglio 1934-XIII, n. 1176, per l’ammissione ai pubblici impieghi.

Nell’attuazione della disposizione di cui al secondo comma, le aziende private osserveranno, per la determinazione delle impiegate che dovranno essere mantenute in servizio nei limiti della percentuale di cui all’art.1, e per la determinazione dell’ordine di licenziamento di quelle eccedenti tale percentuale, gli stessi criteri preferenziali in quanto applicabili alle donne, stabiliti dal R. decreto-legge 5 luglio 1934-XIII, n. 1176.

Art.6 Sono abrogati il R. decreto-legge 28 novembre 1933, n. 1554, e ogni altra disposizione contraria al presente decreto o col medesimo incompatibile.

Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Duce, Primo Ministro proponente, è autorizzato alla presentazione del relativo disegno di legge.

 

*Significative sono poi alcune pubblicazione, presunti studi, di intellettuali di regime come Ferdinando Loffredo (1908-2008), uno dei più riconosciuti economisti del periodo.

In uno dei suoi èpiù rinomati lavori, Politica della famiglia (1938), si legge tra l’altro: “La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia, quanto più onestamente intesa, cioè quanto maggiore sia la serietà del marito () La conseguenza dell’emancipazione culturale – anche nella cultura universitaria – porta a che sia impossibile che le idee acquisite permangano se la donna non trova un marito assai più colto di lei . () deve diventare oggetto di disapprovazione, la donna che lascia le pareti domestiche per recarsi al lavoro, che in promiscuità con l’uomo gira per le strade, sui tram, sugli autobus, vive nelle officine e negli uffici () Il lavoro femminile () crea nel contempo due danni: la «mascolinizzazione» della donna e l’aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità; perde la fiducia nell’uomo; concorre sempre di più ad elevare il tenore di vita delle varie classi sociali; considera la maternità come un impedimento, un ostacolo, una catena; se sposa difficilmente riesce ad andare d’accordo col marito (); concorre alla corruzione dei costumi; in sintesi, inquina la vita della stirpe”.

* E Giovanni Gentile ne La donna nella coscienza moderna (1934): “La donna non desidera più i diritti per cui lottava […] (si torna) alla sana concezione della donna che è donna e non è uomo, col suo limite e quindi col suo valore […]. Nella famiglia la donna è del marito, ed è quel che è in quanto è di lui”.

* Concludiamo con il decalogo della piccola italiana, per le giovinette facenti parte della La Piccola Italia, associazione costituita, per le ragazze di età compresa tra gli 8 e i 14 anni, in precedenza facenti parte delle Figlie della Lupa e successivamente delle Giovani Italiane:

Piccola Italiana, questi sono alcuni precetti ai quali devi ispirarti:

1 Compiere il proprio dovere di figlia, di sorella, di scolara, di amica, con bontà, letizia anche se il dovere è talvolta pesante.

2 Servire la Patria come la Mamma più grande, la Mamma di tutti i buoni italiani.

3 Amare il Duce, che ha reso la Patria più forte e più grande.

4 Obbedire con gioia ai superiori.

5 Avere il coraggio di opporti a chi consiglia il male e deride l’onestà.

6 Educare il proprio corpo a vincere la fatica e l’anima a non temere il dolore.

7 Fuggire la stupida vanità, ma amare le cose belle.

8 Amare il lavoro che è vita e armonia.

Piccola Italiana, questo è il decalogo della tua disciplina:

1 Prega e adoperati per la pace, ma prepara il tuo cuore alla guerra.

2 Ogni sciagura è mitigata dalla forza d’animo, dal lavoro e dalla carità.

3 La Patria si serve anche spazzando la propria casa.

4 La disciplina civile comincia dalla disciplina famigliare.

5 Il cittadino cresce per la difesa e la gloria della Patria accanto alla madre, alle sorelle, alla sposa.

6 Il soldato sostiene ogni fatica ed ogni vicenda per la difesa delle sue donne e della sua casa.

7 Durante la guerra la disciplina delle truppe riflette la resistenza morale delle famiglie a cui presiede la donna.

8 La donna è la prima responsabile del destino di un popolo.

9 Il Duce ha ricostruito la vera famiglia italiana: ricca di figli, parca nei bisogni, tenace nella fatica, ardente nella fede fascista e cristiana.

10 La donna italiana è mobilitata dal Duce al servizio della Patria

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