POCHE RIGHE DI PAOLO VOLPONI.

Pensando ai giorni passati, alla grande chiusura totale e alla difficile ripresa attuale dovute all’epidemia, mi sono venute in mente queste righe di Paolo Volponi tratte dalle pagine iniziali de Le mosche del capitale del 1989. Volponi, uno dei maggiori romanzieri e in particolare, poeti italiani, ha saputo raccontare nei suoi romanzi l’Italia dell’industria, i meccanismi del potere, le vie per restare umani pur tentando di andare oltre l’umano in una visione non antropocentrica; ha ritratto la vita di fabbrica e ha anticipato la crisi ambientale; con la sua scrittura estrema, modernissima, accurata, ma allo stesso tempo essenziale, in poche righe è riuscito a farmi rivivere quel clima e a farmi porre ulteriori domande per il presente in un mondo in cui la produzione si ferma. Come ha fatto oggi per fermare (speriamo) la pandemia.

 

“Ma dormono anche gli impianti, i forni, le condutture, dormono i nastri trasportatori delle scale mobili che depositano le pozioni chimiche nelle vasche della verniciatura o nei lavelli delle tempere. Dorme la stazione ferroviaria, dormono anche le farmacie notturne, le porte e le anticamere del pronto soccorso, dormono le banche; gli sportelli le scrivanie i cassetti le poste pneumatiche le grandi casseforti i locali blindati; dormono l’oro l’argento i titoli industriali; dormono le cambiali i certificati mobiliari i buoni del tesoro. Dormono i garzoni con le mani sul grembiule o dentro i sacchi di segature. Dormono le prostitute i ladri gli sfruttatori le bande organizzate, i sardi e i calabresi; dormono i preti i poeti gli editori i giornalisti, dormono gli intellettuali; quanto caffè, alcool, fumo tra quelle ore. E mentre tutti dormono il valore aumenta, si accumula secondo per secondo all’aperto o dentro gli edifici. Dormono i calcolatori, ma non perdono il conto nei loro programmi. È un problema di ordine, efficienza, produzione. (…)

Il calcolatore guida e controlla, concede rincorre codifica assume imprime.

Dormono anche i padroni e i custodi del calcolatore, dorme la loro coscienza vigilata da infiniti sistemi d’allarme, elettronici quanto morali, sociali politici biochimici. Ronza nel grande sonno il palazzo degli uffici, anch’esso in riposo, staccato isolato da novantotto delle sue cento correnti: restano le guardie, i ronzii dei commutatori, le bocche dei revolvers, le garitte dei turni, i quadranti degli orologi, quelli di rappresentanza del grande salone d’ingresso e delle sale d’attesa. Ogni cinque minuti scatta il calcolo degli interessi, ogni dieci quello del tasso di inflazione, ogni mezz’ora, avendo intanto percorso il giro del mondo, l’indice del costo delle principali materie prime, ogni tre ore l’indice di valore del dollaro e del marco svizzero, seguito dopo venti minuti da quello di tutte le altre monete dei principali paesi industriali del mondo. Spesso manca la quotazione della lira. Il suo dato rimbalza all’improvviso fuori luogo insieme con quelli bigiornalieri del costo del lavoro, compresa la contingenza con la specificazione di un indice medio generale e dei seguenti indici di settore: metalmeccanici chimici tessili poligrafici, trasporti, comunicazioni, edili, cartai.”

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