Barnett Newman, vir heroticus sublimis, 1950/51
Se sulla East Coast Pollok, de Kooning e compagnia portavano avanti alla fine degli anni ’40 del secolo scorso la loro ricerca nell’ambito dell’Espressionismo astratto, sulla Wuest Coast, altri artisti avevano già iniziato un’esperienza diversa, destinata però ad avere un’importanza non secondaria nel panorama dell’arte del ‘900. Mentre gli artisti dell’area newyorkese ricercavano la rappresentazione monumentale dello spazio accelerando e disgregando la forma, Newman, Rothko e Still rallentavano il moto immergendo forme varieggiate quasi in isole, in campi di colore omogeneo e per lo più intenso, dominante l’insieme dell’opera, in una comunicazione espressiva sottile, sostituendo alla sensualità e irruenza materica dell’Espressionismo astratto, una sensazione cromatica dominante.
Con la Color Field, così venne denominata questa corrente, ci si trova di fronte a estensioni cromatiche, spesso vive, all’interno di un campo continuo di colore, dove sono assenti, o quasi del tutto assenti, i dettagli lineari, la superficie in movimento e la varietà formale. In questo modo, anche attraverso le dimensioni notevoli delle tele, questi artisti cercavano di catturare l’emozione e assorbire l’ego del fruitore creando uno stato di depistamento e di ossequioso timore.
Vir Heroicus Sublimis (1950/51) di Barnett Newman ne è un esempio magistrale. La tela misura 294X545 cm e tutto ciò che era movimento, tridimensione, materia, segno presente nell’Espressionismo astratto è scomparso e sostituito da un insieme di colori palpitanti e squillanti distesi su di una superficie di quasi sei metri, un campo appunto (field) e suddiviso in cinque settori o fasce verticali che lo stesso artista ha denominato zips, che con il loro oscillare e con la loro precarietà, riescono a confondere l’occhio dello spettatore portandolo, quasi inconsciamente, a un susseguirsi alternato di sensazioni di malleabilità psicologica e di aggressività.
Le zips sono in realtà ben visibili e distinte e al tempo stesso quasi perse in un effetto sublimale nell’esteso campo di colore. Esse sono utili, secondo Newman, a tagliare e sconvolgere l’uniformità del muro di colore, immettendo sulla superficie, che dovrebbe apparire statica, una forma di dinamicità con il loro avanzare e indietreggiare sulla tela (è chiaro che la fotografia di piccole dimensioni non può rendere l’effetto che si prova davanti a un’estensione di sei metri, che depista e incombe sullo spettatore).
Ciò che si percepisce (là dove le strisce verticali possono anche essere intese come rappresentazioni astratte su una superficie e in questo modo comparirebbe una terza dimensione) è una specie di sottomissione creata dall’estensione smisurata del colore rosso, quasi mistica, che tende a spingere, come in ogni situazione del genere, al di fuori della centralità del proprio io. Non è un moto solo istintivo, poiché l’interpretazione del dipinto richiede un’attenzione vigile e intellettualmente impegnata. Il rosso infatti sembra sfuggire al controllo visivo dello spettatore e le zips cercano, in un certo senso, di bloccarlo, fissando il colore alla superfice. È una ispirazione, quella che coglie l’artista, che si consuma comunque nell’istante, infatti, nonostante la composizione abbia una struttura infondo geometrica, viene sempre tenuta presente la concentrazione psicologica di chi guarda l’opera nel tentativo di coglierla come un’unità stabile.
La Color Field è stata una corrente che ha fortemente influenzato l’arte a venire, si pensi solo al Minimalismo, e che ancora la influenza, essendo ormai entrata nell’immaginario collettivo, anche se più silenziosamente, ad esempio, della Pop art, ma coinvolgendo ampi settori del sociale, dal designe, alla decorazione, fino alla pubblicità, dimostrando così la sua importanza e la sua forza.