A PROPOSITO DI TERZA (QUARTA) ETÀ.

In questi ultimi tempi se ne sono sentite di cotte e di crude sugli anziani, più di crude, e con un cinismo a volte raccapricciante. Anche se i livelli raggiunti da individui che forse non meriterebbero neppure di essere considerati per la sensibilità “disumana” etica e morale, nonché per un’ignoranza che travalica ogni limite e che, più di richiamare memorie “darwiniane” sollecita quelle da “croce uncinata”, che dimostrano, è vero che la denigrazione della terza o, oggi, quarta età non è cosa nuova, ma figlia dei tempi “postmoderni”. Poche stupende e toccanti righe di Dino Buzzati, edite in raccolta per la prima volta nel 1972, illustrano alla perfezione come già allora il problema era avvertito in maniera allarmante  e lanciano un monito alle nostre future generazioni.

“Sì, sono noiosi i vecchi, hanno la deprimente abitudine di ripetere le cose dette un’ora fa, sempre le stesse. Le schiene ricurve, le labbra raggrinzite che si infossano per la mancanza dei denti. E quel continuo addormentarsi sulle poltrone, quei respiri sibilanti, quelle tossi cavernose? Con la difficoltà, in tanti che siamo, di starci tutti in questo ristrettissimo mondo, ci volevano anche loro!

Poi c’è la cosa principale: a che servono, così inadatti alle esigenze della vita moderna? Chi vangava non ha più forza di vangare, chi correva in bicicletta siede inerte sulla soglia, chi scriveva poemi la penna gli si è arrugginita, chi cantava gli si è spenta la voce. Non servono più che a mangiare, a dormire, a portar via il posto agli altri che vengono e che ne avrebbero un grandissimo bisogno. Vero che i vecchi sono pressappoco tutti così? Ecco un uomo che ha messo su famiglia, lui, lei e due figli in tre camerette più servizi. Ci starebbero appena appena, ma c’è anche il vecchio padre, pensionato, coi reumi, assolutamente nullo. Allora si arrangia una brandina in corridoio e intanto capita di pensare: se almeno potesse trovarsi una sistemazione altrove, un posticino tranquillo (altrove, eh eh, ci siamo intesi al volo); in questo caso di notte rincasando non ci sarebbe più il pericolo di sbattere gli stinchi negli spigoli della sua branda. Si potrebbe accendere la luce, parlare, camminare, respirare finalmente. Ma no, loro si ostinano, non vogliono lasciare i figli, sempre là nello stesso angolo a leggere, dormicchiare, un fastidio solo a vederli.

I bambini sono belli a vedersi, il loro giudizio non dà preoccupazioni, la loro pelle è morbida e liscia. I bambini servono e i vecchi no, da un bambino si può ricavare un commerciante, un operaio bravissimo, un medico, un ingegnere capace di guadagnare milioni su milioni. Ma da un vecchio che c’è invece da aspettarsi? I bimbi hanno lo smisurato vantaggio che al mondo li avete messi voi, voi a nutrirli, vestirli, divertirli, mentre i vecchi hanno l’imperdonabile torto di avere speso tutta la vita per voi, per voi tutto, lavoro, sacrifici, amore, nella malinconica illusione che un giorno un po’ di quel bene glielo avreste ridato.

Eppure raccontano che nell’antica Cina la vecchiaia fosse il paradiso della vita, tanta era la venerazione per coloro che, avendo percorso l’intera tappa, si avvicinavano al grande esame. Oh, se gli uomini fossero più furbi, se pensassero al loro vero vantaggio anziché alle più inutili idiozie, essi offrirebbero ai vecchi i beni più preziosi della terra.

Dico a voi, giovani presuntuosi che vi illudete di essere i soli a capire i problemi del mondo e che i vostri padri siano una massa di cretini. Un giorno, pensateci, essi erano esattamente come voi, avevano i vostri stessi muscoli, se non di più, il vostro passo atletico, le vostre speranze, avevano anche loro i riccioli biondi. Ora sono diventati curvi, fragili, calvi, ma la differenza è ben poca, cari miei, trenta o cinquant’anni soltanto, un respiro, un niente!

Non dimenticatelo, quando vi passa vicino il nonno col bastoncello. Guardatelo con attenzione piuttosto; egli è il vostro ritratto. Domani, dopodomani, prima che abbiate fatto in tempo a prendere le misure, voi uscirete a piccoli passettini come lui.

Dino Buzzati, Cronache terrestri, Mondadori, 2001.

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