CARAVAGGIO PITTORE COMMERCIALE.

Spesso quando si ascoltano giudizi, più o meno competenti, sugli artisti contemporanei, di fronte alle loro opere, si sentono pronunciare frasi del tipo: “lo fa per il mercato”, “è commerciale”, “nell’arte comandano le gallerie e i collezionisti”. Forse è vero, ma non è una cosa nuova, si potrebbe dire che, con differente influenza, quello del mercato o del committente, a seconda delle epoche, è un fattore che è sempre esistito e sempre ha influenzato arte e artisti. Ecco un caso famoso, non per tutti forse, che coinvolge uno dei mostri sacri dell’arte mondiale: Michelangelo Merisi, detto Caravaggio e il suo capolavoro, anzi capolavori, San Matteo e l’angelo.

Innanzi tutto è bene precisare che esistono due versioni di questo quadro, commissionato nel 1602 dal Cardinale Contarelli (Mathieu Cointrel), per la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Perché due versioni? La prima opera fu rifiutata dal committente in quanto non ritenuta adatta, se non offensiva, e comunque scandalosa, come ci testimoniano Giovanni Baglione “Il quadro d’un certo San Matteo, che prima havea fatto per quell’altare di San Luigi, e non era veruno piaciuto” ( Le vite de pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII fino a tutto quello d’Urbano VIII, Roma, Andrea Fei, 1642, p. 137), e Giovanni Pietro Bellori “(…) terminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo su l’altare, fu tolto via dai preti, con dire che quella figura non aveva decoro, né aspetto di Santo (…) (Le vite de’ Pittori, Scultori et Architetti moderni, Roma, Mascardi, 1672, p. 219). Caravaggio dovette quindi rifare il quadro assecondando il gusto del committente e travalicando il proprio, aggiustarsi al mercato diremmo oggi, per non perdere il compenso stabilito dal contratto.

Se si analizzano, pur sommariamente, le due opere si notano immediatamente le differenze notevoli, tanto che sembrano dipinte da due artisti diversi.

Nella prima versione (purtroppo andata perduta verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, tra il 5 e il 10 maggio 1945 nell’incendio della Flakturm Friedrichshain di Berlino con altre opere dell’autore lombardo e nota a noi tramite una veccia fotografia),

Matteo è seduto alla sinistra della scena, le gambe incrociate con in evidenza il piede consumato, la pelle indurita e callosa, mentre l’angelo gli prende la mano e lo guida nella scrittura del Vangelo, si potrebbe dire che scrive al suo posto. Non stupisce che Caravaggio abbia dipinto in prima istanza un evangelista in questo modo, il suo realismo non poteva ignorare che Matteo, come gli altri apostoli, era in fondo una persona del popolo, ignorante e analfabeta, impressionata e stupefatta da ciò che gli sta accadendo, come testimoniano lo sguardo quasi ebete, la fronte aggrottata e gli occhi spalancati, quasi spiritati.

Ma non è tutto. Osservando bene l’angelo è difficile determinarne il sesso, anzi la dolcezza del volto e i tratti delicati, soprattutto e le labbra molto carnose, fanno pensare che si tratti di una giovane donna, caratteristica non nuova nella pittura di Caravaggio che già aveva dipinto un angelo simile nel Riposo durante la fuga in Egitto, dove tra l’altro, la figura di San Giuseppe è ugualmente quella di un povero uomo del popolo ignaro e quasi istupidito davanti a ciò che gli sta accadendo e molti hanno sottolineato come, in questo dipinto, l’espressione dell’asino, visibile dietro a Giuseppe e allo spartito musicale, appare più sveglia e intelligente di quella del padre putativo di Gesù.

Inoltre il movimento dell’angelo verso Matteo sembra essere carico di una certa sensualità, quasi lo avvolge, e è ben piantato con i piedi in terra, è una presenza reale, fisica, un po’ lontana da una visione celeste canonica, una provocazione in più per i committenti. Ma non è un errore o un peccato di superficialità da parte di Caravaggio, il quale sapeva benissimo che l’opera sarebbe stata collocata in una chiesa e che, di solito, questo comportava il rispetto di certe regole, ma la sua scelta artistica ha prevalso sulla committenza, finché non è stato il momento di riscuotere il compenso.

Una volta vistosi rifiutato il quadro si appresta a farne una seconda versione, quella che vediamo ancora oggi in San Luigi dei Francesi, che ben si adattava ai voleri dei committenti e al gusto del tempo, al mercato insomma. È una versione ben diversa, come si può notare.

L’angelo non tiene più la mano del santo, ma semplicemente detta, cioè Matteo è in grado di scrivere, anzi la sua espressione dà l’idea che sia molto attento e pronto a non perdere una sola parola di quanto gli viene dettato. Lo sgabello su cui è appoggiato è reso instabile dal movimento repentino del santo verso l’angelo, quasi a sottolineare l’attenzione da lui prestata alle parole che gli vengono rivolte. Quest’ultimo scende dal cielo e sembra guardare le proprie mani che stanno elencando quanto Matteo deve scrivere, ha un atteggiamento concentrato, attento a non dimenticare nulla e a assicurasi che lo scrivente capisca e trascriva tutto.

La composizione è più armonica e la figura di Matteo è in qualche modo idealizzata, non è un uomo del popolo, un palestinese abituato a vivere in un clima per lo più asciutto, quando non desertico, e si notino i piedi che, a differenza di quelli della prima versione, sono quasi curati, non certo come sarebbero quelli di una persona che per lo più è abituata a camminare scalza.

Una notevole differenza tra le due versioni, tra come Caravaggio pensava e vedeva quel particolare tema e come invece lo voleva chi pagava.

Qualche anno fa Luigi Spezzaferro (Caravaggio accettato, in Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli: convegno internazionale di studi, Roma 24-26 maggio 2001, Città di Castello, Petruzzi Stampa, 2002, pp. 23-50) ha avanzato l’ipotesi, correlata di prove storiche, che la prima versione del quadro era solamente provvisoria e che, comunque, ebbe un mercato all’epoca della sua realizzazione, mentre i giudizi del Bellori e del Baglione sarebbero stati provocati da altre cause. Tuttavia anche se ciò risultasse del tutto vero, è indubbio che se i due autorevoli storici di poco posteriori al Caravaggio e quindi direttamente partecipi al clima del tempo, hanno potuto avanzare la loro supposizione, mi sembra un elemento significativo del fatto che alla committenza, al mercato, anche artisti di indubbio e planetario valore, quelli che hanno fatto la Storia dell’Arte, del tutto immuni dalle esigenze del mercato non erano proprio, anzi che ne erano suggestionati e disposti a soddisfarne le richieste in cambio di assenso, quotazione e giusta remunerazione. Un difetto non solo degli artisti contemporanei dunque, che fa riflettere anche su un altro problema, e cioè su come spesso è proprio il pubblico, quello almeno non specializzato, a non capire il linguaggio innovativo degli artisti e a richiedere opere da mercato, là dove, oggi come oggi, mercato lo fa anche il semplice generare stupore, scandalo, avversione.

Ma questo è un altro discorso che meriterebbe una trattazione a parte.

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