UN ALTRO RAFFAELLO.

Sono state spese centinaia di pagine su Raffaello e la sua arte, ma alcune si rivelano per tutta la loro originalità, discostandosi da quelle che sono le interpretazioni più usuali, accademiche, e, forse, anche quelle più storicamente precise. Tuttavia la voce di scrittori e pensatori che non si possono propriamente ascrivere tra gli addetti ai lavori, non critici o storici dell’arte, a volte risultano illuminanti e aprono diverse prospettive sul pittore. Dostoevskij, Freud, leggono le opere del pittore urbinate in maniera del tutto originale e inconsueta, ma molto affascinante. Come nei due brevi brani riportati di Nietzsche su la Madonna Sistina e la Trasfigurazione.

Il filosofo tedesco vede nell’arte di Raffaello, pittore “ingenuo”, la manifestazione dell’”illusione”, “come salvifica e liberatrice”. Un’arte non cristiana, dove, appunto, l’illusione sarebbe capace di mutare il dolore in “beatitudine”. Per questo Raffaello non dipinge soggetti di martirio e sfugge alla tentazione di rappresentare la sofferenza come arte. Nella Madonna Sistina Raffaello si rivela pittore “laico”, nel senso che è riuscito a presentare una diversa forma di cristianesimo. La Madonna diviene un’immagine mondana soggetta a un processo di secolarizzazione in cui ha profondo valore il gioco tra madre e figlio, dove lo sguardo di Gesù è quello di un “uomo” che non predice una soluzione, ma quella di “uomo valoroso e soccorrevole che vede una situazione di bisogno”. Inoltre Maria non è esente da una certa sensualità.

La Trasfigurazione viene interpretata da Nietzsche come uno degli esempi dell’unione tra dionisiaco e apollineo, quasi un testamento estetico di Raffaello, attraverso il quale manifesta la sua idea sull’arte: una specie di sublimazione del dolore nelle forme e nei luoghi della luce. Il “dolore originario”, il dionisiaco, sarebbe rappresentato, nella parte inferiore della tela, nel volto indemoniato del ragazzo e nell’angoscia, sui visi, nei gesti ripetuti con enfasi, dei parenti e degli astanti attorno a lui. Nella parte superiore si alza un alone “illusorio” invisibile e non percepito dai personaggi della pare inferiore. È il mondo dell’apollineo. In quella separazione e unione al tempo stesso, tra l’alto e il basso, tra il mondo elevato in cui avviene la Trasfigurazione, e quello in cui si concretizza il dramma del bambino ossesso si realizza l’arte sublime di Raffaello.

Raffaello, Madonna Sistina, Gemäldegalerie di Dresda.

73. Pittura onesta.

— Raffaello, al quale importava molto della Chiesa (sinché poteva pagare), ma poco, come ai migliori del suo tempo, degli oggetti della fede ecclesiastica, non ha seguito d’un passo l’esigente religiosità estatica di alcuni suoi committenti: ha conservato la sua onestà, persino in quel quadro d’eccezione, originariamente destinato a stendardo da processione, nella Madonna Sistina. Qui egli volle per una volta dipingere una visione: ma una visione come possono anche averla e l’avranno nobili giovani senza «fede», la visione della futura sposa, di una donna saggia, di animo nobile, silenziosa e molto bella, che porta in braccio il suo primo nato. Qui venerino pure i vecchi, avvezzi a pregare e ad adorare, come il venerando vegliardo sulla sinistra, qualcosa di sovrumano: noi giovani, sembra gridarci Raffaello, vogliamo stare dalla parte della bella fanciulla sulla destra, che con sguardo provocante, assolutamente non devoto, dice a chi osserva il quadro: «Non è vero che questa madre e suo figlio sono una vista piacevole e invitante?». Quel viso e quello sguardo riluce della gioia nei volti degli spettatori; l’artista che inventò tutto questo gode di se stesso allo stesso modo e aggiunge la sua gioia a quella dei destinatari dell’arte. — Riguardo all’espressione «redentrice» sul volto di un bambino, Raffaello, l’onesto che non volle dipingere stato d’animo alla cui esistenza non credesse, ha garbatamente raggirato i suoi spettatori credenti; dipinse quel gioco naturale che si osserva non di rado, l’occhio dell’uomo nel viso di un fanciullo, ossia l’occhio dell’uomo valoroso e soccorrevole che vede una situazione di bisogno. A quell’occhio si addice una barba; che essa manchi, e che da uno stesso volto parlino due diverse età, è il piacevole paradosso che i credenti hanno interpretato secondo la loro fede nei miracoli: come l’artista doveva aspettarsi dalla loro arte di interpretazione e di interpolazione.

F. W. Nietzsche, Umano, troppo umano, Newton Compton Editori. p. 572.

Raffaello, Trasfigurazione, Pinacoteca Vaticana

Raffaello, uno appunto appunto di quegli immortali «ingenui», ci ha rappresentato in un dipinto simbolico quel depotenziarsi dell’illusione nell’illusione, il processo originario dell’artista ingenuo e insieme della cultura apollinea. Nella sua Trasfigurazione la metà inferiore col ragazzo ossesso, gli uomini in preda alla disperazione che lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostra il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario, dell’unico fondamento del mondo: l’«illusione» è qui un riflesso dell’eterno contrasto, del padre delle cose. Da questa illusione si leva poi, come un vapore d’ambrosia, un nuovo mondo illusorio, simile a una visione, di cui quelli dominati dalla prima illusione non vedono niente – un luminoso fluttuare in purissima delizia e in un’intuizione priva di dolore, raggiante da occhi lontani. Qui abbiamo davanti ai nostri occhi, per un altissimo simbolismo artistico, quel mondo di bellezza apollinea e il suo sfondo, la terribile saggezza di Sileno, e comprendiamo, per intuizione, la loro reciproca necessità. Ma Apollo ci viene incontro di nuovo come la divinizzazione del principium individuationis, in cui soltanto si adempie il fine eternamente raggiunto dell’uno originario, la sua liberazione attraverso l’illusione: con gesti sublimi egli ci mostra come tutto il mondo dell’affanno sia necessario, perché da esso l’individuo possa venir spinto alla creazione della visione liberatrice e poi, sprofondato nella contemplazione di essa, possa sedere tranquillo nella sua barca oscillante, in mezzo al mare.

Questo divinizzare l’individuazione, quando viene in genere pensato in modo imperativo e normativo, conosce una legge sola, l’individuo, vale a dire l’osservanza dei limiti dell’individualità, la misura nel senso ellenico. Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l’esigenza del «conosci te stesso» e del «non troppo», mentre l’esaltazione di sé e l’eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, quindi qualità dell’epoca preapollinea, dell’età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico. A causa del suo titanico amore per gli uomini Prometeo dovette essere lacerato dagli avvoltoi; per la sua eccessiva saggezza, che sciolse l’enigma della Sfinge, Edipo dovette precipitare in un travolgente vortice di atrocità: così il dio delfico interpretava il passato greco.

F. W. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi. Edizione del Kindle, pos. 468-487.

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