1984

Ultimamente c’è un gran citare 1984 di Orwell a proposito della dittatura medianica, sanitaria, del pensiero unico (che ancora devono spiegarci cos’è) ecc. Ma il sospetto è che si cita senza averlo letto. Orwell questi temi neppure li conosceva e non poteva nel 1948, il dispotismo a cui allude lui è un altro, quello, ormai passato nei suoi tempi, hitleriano e quello incombente e che lui aborriva comunista-stalinista (essendo lui un convinto trotzkista), non a caso Big Brother (tradotto “Grande fratello”, ma che andrebbe invece inteso come “Fratello Maggiore” con le dovute differenze) è il ritratto di Stalin. Chiaro è che si tira l’acqua al proprio mulino senza conoscere (ad es. nel romanzo non è strumento di potere il pensiero unico ma il “bipensiero” una tecnica che spinge a prendere per vere delle affermazioni completamente illogiche oppure contrastanti allo stesso tempo, in modo che il soggetto sia facilmente manipolabile), ma nella lettura dei suoi contemporanei tutto ciò era evidente. Propongo alcuni stralci delle recensioni a 1984 dei due più ascoltati critici del tempo all’uscita del romanzo: Benedetto Croce e Roderigo di Castiglia, per chi non fosse informato pseudonimo di Palmiro Togliatti.

Benedetto Croce da “La città del Dio Ateo” apparso sulla prima pagina del settimanale “Il Mondo”, anno I, n.34, 8 ottobre 1949, sotto una grande foto di Stalin corredata dalla didascalia “Mosca. L’ingresso dei partigiani della pace all’ombra del Maresciallo”:
Il nuovo Stato che il romanziere inglese George Orwell immagina trionfante in tutti i continenti nel 1984, è perfettamente consapevole che il potere non è un mezzo per un fine ma è “un fine per se stesso”, e che non si stabilisce una dittatura per garantire una rivoluzione, ma “si fa una rivoluzione per stabilire una dittatura”. In questo vuoto d’ogni ideale, ideale diventa il potere per se stesso, l’ateismo si costruisce un Dio ateo.
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Occorre essere grati a Orwell per avere definitivamente sciolto il fittizio legame tra il comunismo e lo Stato che nacque in Russia con la rivoluzione del 1917 il quale presto si tirò dietro due imitazioni che mostrarono che si poteva distaccarlo dal comunismo: il fascismo italiano che sorse senza programma o senza un programma a cui desse sincera fede e che presto ne accettò uno dal nazionalismo; e il nazismo tedesco ben altrimenti nutrito di antiche tradizioni nazionali e ricco dei succhi venefici di un naturalistico razzismo; l’uno e l’altro totalitari di Stato.
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Chi, come Orwell, ha guardato il mostro e non si è perso d’animo, e lo ha posto a sé, fuori di sé, a fronte di sé, oggetto di disamina e critica, ha scritto il suo libro non certo per rendergli omaggio, ma per esortare a raccogliere le forze di resistenza di difesa e offesa, e perché non si dimentichi mai che nella attuazione di quel sistema totalitario accadrebbe qualcosa di immensamente più vasto e profondo della caduta della civiltà greco-romana.

Palmiro Togliatti alias Roderigo di Castiglia  da “Rinascita”, anno VII, n. 11-12, nov. Dic. 19502 nei mesi successivi alla morte dello scrittore:
Con la pubblicazione di 1984 di Orwell […] la cultura borghese, capitalistica e anticomunistica, dei nostri giorni, ha aggiunto al proprio arco sgangherato un’altra freccia: un romanzo d’avvenire! […] L’autore accumula con la maggiore diligenza tutte le più sceme tra le calunnie che la corrente propaganda anticomunista scaglia contro i paesi socialisti.
(…)
Nel “partito” (metafora del Pcus) si insegna a commettere, per il “partito”, le azioni più stolte, a mentire, a negare la evidenza dei fatti … Il capo del partito ha i baffi neri e il suo nemico mortale la barbetta a punta,  a questo punto si scopre invece proprio soltanto l’autore, nella meschinità e abiezione che a lui stesso sono proprie.
(…)
Le botte servono davvero a troppe cose, nel libro di George Orwell … doveva aver davvero una grande esperienza di bastonature e torture, questo poliziotto coloniale, per giungere a porre la fiducia nelle torture e nelle bastonature più in alto che la fiducia nella ragione umana.

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