Immagine da, F. Negroni, Il Duomo di Urbino.

Lazzari Andrea

Andrea Lazzari nacque in Urbino nel 1754 da Antonio e Maria Mattei, con ascendenti nobiliari. Si laureò in diritto civile e canonico e fu chiamato giovanissimo a ricoprire la cattedra di eloquenza nel Seminario di Jesi per tre anni, per poi passare a Pesaro dove, oltre all’insegnamento dell’eloquenza, fu anche retore del Seminario. Pesaro nella seconda metà del Settecento era percorsa da vivi fermenti culturali, con accademie attive e personaggi come l’Olivieri, il Passeri e il Lazzarini, che stimolarono gli interessi del giovane Andrea e sono proprio di questi anni le sue prime pubblicazioni di studi epigrafici. A trentun anni lasciò Pesaro per raggiungere l’arcipretura della Pieve di S. Marino, nella zona dei Monti delle Cesane di Urbino. Dovettero passare poi dieci anni prima di essere preposto alla chiesa parrocchiale di S. Spirito in Urbino, presso Piano S. Lucia, e dove rimase dal 1795 al 1816. Fu membro di diverse Accademie come quella dell’Arcadia, la Ducale di Firenze, l’Ecclesiastica e dottore di Collegio dell’Università di Urbino. Nel 1794 viene eletto deputato a Roma dalla Comunità di Urbino e del Montefeltro e nello stesso anno viene nominato pronotario apostolico da Pio VI. Pio VII lo eleva a Cappellano Segreto e Cameriere Segreto, e nel 1805 prelato domestico del Pontefice. A Urbino, contemporaneamente, ricopre la carica di pro-vicario generale e refendario dell’una e dell’altra Segnatura. Benché ecclesiastico, fu un intellettuale molto sensibile alle tematiche divulgate dall’Illuminismo, specie nei confronti del pensiero di Antonio Muratori.

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Dalla Chiesa più nobile siane il principio. Il Duomo antico di Urbino, tempio beninteso per l’Architettura dell’eccellente Gio. Battista Comandino Urbinate, o come altri scrissero di Francesco Giorgio Senese, che al deporre del dotto nostro Monsig. Bernardino Baldi, fu Architetto del Palazzo Ducale; fu cominciato ad innalzarsi da’ fondamenti nell’anno 1447 dal Duca Federico, proseguito da Guidobaldo I, finito da Francesco Maria I. Non sapendosi se in realtà o il Comadino, o il Senese fossero soli a condurre questa Fabbrica, potrebbe aver postovi la sua mano ancor Baccio Pintelli Fiorentino, chiamato dal Baldi nel cap. I della sua descrizione del Palazzo Ducale, Pontello, che fu sepolto in S. Domenico, e nel suo epitaffio leggesi: Architetto del Palazzo come sopra la porta della cappelletta (prima della riedificazione della medesima Chiesa di S. Domenico). Di questo Architetto in Roma vi sono parecchie cose, singolarmente le Chiese della Pace, del Popolo, e di S. Agostino; e la Cupola da lui edificata in quest’ultimo Tempio vuolsi sia la prima, che si vedesse in Roma.

Compiuto che fu il nostro Duomo, con solenne rito consacrollo Monsing. Giacomo Narducci Vescovo d’Urbino li 19 Ottobre del 1534, come si leggeva in lettere majuscole nel cornicione della navata di mezzo, fatte incidere nel 1769, dal Proposto Gio. Battista Venturicci, e Canonici insieme, la quale Iscrizione fu da me riportata nella Serie già data de’ Vescovi, parlando alla pag. 378, di detto Monsig. Giacomo. Il Vaso di detta Chiesa era di molto stimato, e nella sua antichità, e semplicità insieme conciliava venerazione.

Cadde il 12 Gennaro 1789 la famosa Cupola, disegnata in forma ottangolare dal celebre Muzio Oddi, eretta al tempo di Francesco Maria II ultimo nostro Duca nel 1604. La rovina si attribuì alla piccola base, sopra cui detta Cupola era piantata, sproporzionata a sostenere nella serie degli anni un tanto peso. Le memorie ci assicurano, che nella sua costruzione s’impiegassero libre 100000 di ferro; e 80000 di piombo, non compreso il rame, che formavano i grappi ai mattoni di essa. Di presente viene sostituita alla medesima altra di minor mole; sebbene, se vien permesso il dir la verità, quel tamburo ingoffito, e circondato da tanti pilastri sopraposti uno all’altro dà molto negli occhi, perloché il cornicione ondeggia in maniera assai sconcia, e l’esser foderata di rame può torgliergli qualche secolo qualche di durazione in un clima, quale è il nostro, freddoso, e sottoposto ai ghiacci costanti nella stagione d’inverno. La caduta d’una mole sì vasta seppellì nelle sue rovine molte cose pregevoli, e preziose, e fra queste

ancora varj Quadri, Noi non lasceremo di annunciarli, sebbene non più esistenti, acciò rimanga alla posterità sempre viva la notizia di quanto vi era di bello, per quello riguardi le Pitture, e nel Duomo vecchio, e nel nuovo, che dal giorno d’allora sino al presente si attende a riedificare. Le vicende, a cui abbiamo dovuto miseramente soccombere hanno prolungato il compimento della grandiosa impresa.

267 A. Lazzari, Delle Chiese di Urbino e delle Pitture in esse esistenti Compendio Storico, Urbino, G. Guerini, XDCCCI.298 Urbino nella letteratura italiana

Da, E. M. Guidi (a cura di), Urbino nella Letteratura Italiana da Dante a D’Annunzio, Aras Edizioni, Urbino, 2017, pp. 296-299

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