NOTE SUGLI ACQUARELLI DI RENATO BRUSCAGLIA

Immagini courtesy “Archivio Bruscaglia”.

Fa un certo piacere avere lo stimolo per occuparsi di un artista urbinate per una volta non dimenticato quale Renato Bruscaglia, presente nella memoria artistica della città anche grazie allo sforzo, alla dedizione e alla bravura della figlia Marta e alla cura che impiega nel mantenere sempre attuale e al centro dell’attenzione l’“Archivio Renato Bruscaglia”, una istituzione pregiata per questa cittadina. Difficile però è riuscire a aggiungere qualcosa di nuovo sull’attività grafica e editoriale dell’artista, non solo per il fatto che già critici e storici dell’arte di pregiata levatura se ne sono e tutt’ora se ne interessano, come Andrea Emiliani tra gli altri, ma anche perché il discorso sarebbe davvero complesso e molto tecnico. Tuttavia una viva curiosità hanno sollecitato ai miei occhi gli acquarelli dell’artista che, confesso, non conoscevo, né avevo mai visti appesi a qualche muro nelle case dei suoi concittadini.

Piccole opere delicate e raffinate che a prima vista possono apparire come esercizi di stile, o momenti di abbandono e di pausa dal ben più faticoso e meticoloso lavoro attorno alle lastre da incidere, ai disegni preparatori, alla stampa stessa, senza escludere lo sforzo di divulgatore della “materia” con le varie e pregiate pubblicazioni e l’insostituibile magistero che ha saputo trasmettere come docente prima alla Scuola del Libro in Urbino, dove si era diplomato, poi presso l’Accademia delle Belle Arti di Firenze e in seguito di Urbino, nonché come promotore, assieme ai colleghi Carlo Ceci e Pietro Sanchini, del Corso Estivo Internazionale dell’Incisione Artistica, dal 1962 al 1987.

Panorami minuti di monti che si affacciano sul mare o su colline, ma non solo, realizzati con pochi colpi sicuri di pennello, essenziali, i cui colori, pur se a volte tenui, rivelano nei loro toni un’impronta di severa scelta, di convinta adesione dell’artista con il foglio di carta, con il soggetto, con ciò che gli trasmette. Paesaggi della regione, la sua, le Marche, e dove la capacità tecnica dell’uso dell’acquarello, come già accade con il tratto dell’incisione, non si impone sull’ispirazione, sul sentimento e sul senso vago di poesia. L’artista si pone di fronte al panorama o al corpo disteso di una donna, con quanto d’essenziale ci può essere per descrivere una forma, per darne immediatamente il significato e la sensazione estetica; pur non accedendo all’astrattismo, rinvia a suggestioni che vanno al di là dell’immagine in sé, rivelando mondi che forse solo lui conosce, ma che in qualche modo entrano, magari con senso del tutto diverso, anche nel nostro immaginario e nel nostro modo di interpretare il mondo e noi stessi.

La scelta di questa tecnica da parte di Bruscaglia non è solo adattata alla propria personalità e non è soggetta al fascino della freschezza e alla possibilità della spontaneità che l’acquarello permette, né al concedersi a una atmosfera quasi dissolta che ricorda le briciole del sonno nelle dolcezza del dormiveglia, o meglio non è solo tutto ciò, ma cede alla capacità di osservare con attenzione e spirito interpretativo la realtà, ripresa e intercettata in un balenio di luce, con una sensibilità che lo coniuga con la natura stessa e con tutto l’universo che essa esprime.

Vero è che l’acquarello è una tecnica pittorica del tutto particolare nella quale sono importanti l’abilità manuale e la contemporanea capacità di prendere decisioni rapide e definitive, ma che conduce, al tempo stesso, a una specie di indagine, di scrupolo conoscitivo dettato dalla lotta con l’acqua in quello che non deve essere un combattimento, ma una collaborazione bilanciata tra l’azzardo e il controllo, tra spontaneità e imprevidibilità dell’emozione estetica e la razionalità della vigilanza sul proprio gesto. Bruscaglia usa l’acquarello come un mezzo per trasmettere vibrazioni che lo scuotono all’interno e si esprimono tramite i colori che giungono come onde all’occhio dell’osservatore. Pochi tratti bastano a definire l’oggetto, pochi colori a farne un’opera che, seppur piccola, occupa un intero spazio. Non è una interpretazione realistica della natura, il che può apparire strano, visto che è la tecnica per tanto tempo usata nelle illustrazioni didattiche e scientifiche, specie botaniche, ma le immagini, grazie alla loro trasparenza, divengono quasi mobili, si fondono le une con le altre. Immagini che creano altre immagini, altri significati, che rinviano a mondi che forse sono solo interiori, come già esprimeva un grande cultore della tecnica, pur non essendo un pittore “professionista”, Hermann Hesse: “Nelle mie opere manca di frequente il normale rispetto della realtà e, quando dipingo, le piante hanno un volto e le case ridono o ballano o piangono, ma se l’albero sia un pero o un castagno per lo più non si può capire; questo rimprovero devo accettarlo”.

Nell’acquarello n. 1 (mia la numerazione) risalente agli anni ‘70 del secolo scorso, una strada, o forse un corso d’acqua, si insinua tra terreni che variano dal nocciola al verde, per sfociare in un mare di un blu intenso, sovrastato dal cielo azzurro, ma di un azzurro inquietante che tende al grigio.

F. 1

Pennellate veloci, decise, non c’è un dubbio su quanto l’artista vuole trasmettere, in ciò che vede il suo occhio interiore, neppure in quelle linee marroni curve di non facile realizzazione tecnica, nessuna indecisione. Nel n. 2 apparentemente il clima sembra quietarsi, se non altro per la pennellata piatta e orizzontale del cielo e del mare, ma quel “cavalcavia” in primo piano inquieta, è un balzo in avanti subito frenato dalla linea orizzontale e che piomba poi in un vuoto scuro che irrompe verso l’esterno quasi ad assalire lo spettatore.

F. 2

E questa serena inquietudine sembra ribadita nel n. 3, sempre degli stessi anni.

F. 3

Il muro che taglia trasversalmente il piano proprio al centro della composizione, avanza verso di noi. Ancora un azzurro che tende al grigio con ai lati un colore che si avvicina al violaceo e, dalla parte opposta, il nero. Sulla destra un prato verde. Il muro sembra quasi dividere due stati dell’essere, quello tenebroso, enigmatico, scuro, che si dissolve nell’azzurro del muro, e media quello più sereno, riflessivo, che dal viola scende a un verde e poi declina in un tono più chiaro e quieto. Il tutto sovrastato da un cielo azzurro e piatto, indifferente. Una cesura quasi platoneggiante di separazione tra mondo delle cose e mondo delle idee, dove regna una montaliana “divina indifferenza”.

Gli anni ‘80 sembrano segnare un passaggio piuttosto evidente verso un incupirsi dell’animo dell’artista. L’acquarello n. 4 potrebbe essere un quadro astratto-geometrico se non fosse per quell’alberello che fa capolino sul lato sinistro, a convincerci che si tratta del declinare di un colle.

F. 4

Ci si avvia verso una soluzione quasi monocromatica, ma più ancora sembra che la “razionalità” prenda il sopravvento sulla natura, con quel taglio netto obliquo del colle. Non un declinare dolce e armonico come sono i colli del Montefeltro, ma quasi una rasoiata scura che taglia l’azzurro, comunque non luminoso, del cielo. Disillusione? Arrivo di una maturità che prende il sopravento sull’esuberanza più o meno giovanile? Difficile a dirsi. Ma una conferma sembra venire dall’acquarello n. 5 dove compare il corpo umano. Pure qui praticamente un monocromo in cui risaltano le linee forti, marcate e spesse che sottolineano le anatomie.

F. 5

Un corpo di donna disteso supino, le gambe divaricate, i seni tesi, probabilmente stirati dalle braccia distese oltre la testa e l’arco delle spalle che rimangono fuori campo. È un corpo messo lì, non c’è eros, non c’è curiosità o voyeurismo, neppure contemplazione della bellezza del corpo femminile. Esiste come qualsiasi altro elemento della natura, è immerso in uno spazio piatto, scuro; l’unico modo di identificarlo è attraverso i tratti marcati e caratterizzanti, ma potrebbe altresì essere anche un albero o un cespuglio. Forse un sopraggiunto pessimismo o una visione più disincantata del reale ha colto Bruscaglia in questo periodo, ma non ci è dato di saperlo e, tanto meno, di andare eventualmente a indagarne i motivi.

Quel che è certo è però che il talento e la sensibilità di questo straordinario artista che ha dedicato la propria vita all’arte, non si esaurisce nell’opera grafica, nelle incisioni, ma ha saputo esprimersi attraverso i linguaggi che l’arte stessa gli metteva a disposizione. Forse con esiti differenti, ma sempre alti, come dimostrano questi acquarelli e pure la pittura a olio, ritratti per lo più, di un’intensità e di una ricerca psicologica nel quotidiano di notevole profondità, come già ha notato Silvia Cuppini, e a cui bisognerebbe forse dare più spazio mediatico e attenzione critica, renderli ancora di più patrimonio della cultura di questa cittadina che arranca armoniosamente su due colli.

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