Paul Tran è uno dei poeti statunitensi che negli ultimi anni si è affermato in maniera importante sul panorama artistico-letterario degli USA vincendo, tra l’altro diversi importanti premi, come su quello internazionale. Un saggio della sua poesia lo si può leggere in questa bella “Giuditta decapitata da Oloferne – olio su tela – Artemisia Gentileschi, 1620”, versi nei quali il poeta si lascia andare alle proprie sensazioni e impressioni davanti all’opera della pittrice caravaggesca. Nella poesia contemporanea del Nord America quello di versi dedicati a opere figurative, soprattutto del passato, è divenuto un “genere” abbastanza frequentato e con esiti spesso alti, come, mi sembra, in questo caso.

Immagine da Wikimedia Commons, l’archivio di file multimediali liberi

Giuditta decapitata da Oloferne – olio su tela – Artemisia Gentileschi, 1620.

So bene che non devo uscire di casa

            senza il mio vestito buono. Il mio coltello buono

come un crocifisso tra i miei seni di sasso.

           Madre mi farebbe frustare,

mi metterebbe in ginocchio sul riso fino a che strillo

           tanto forte da far ritoccare le campane di chiesa.

Non ti ho mai detto che l’eleganza è la nostra vendetta?

           Che alla fine non esistono vittime

né vincitori tranne la troia che invidiamo? Quella troia sono io.

            Io sono caparbia. Sono talmente dannata

che nemmeno la Morte mi ha voluto. Mi ha rispedito al mittente

            dopo che tu avevi razziato il mio corpo

come i tuoi eserciti avevano razziato il mio villaggio, accatastati

             i nostri idoli decapitati nel fiume

dove i nostri figli si sono impalati

            sulle rocce? La notte esco. Entro nella sua tenda

indorata da un lampo di sole risoluto. Ho già

            arrotolato le maniche. So che diranno

che sono una puttana perché mostro tutta questa pelle.

           Per questa irriverenza verso ciò che vien visto

quando chiedo di essere vista. Guardami. Le mie cosce

           si staccano dalle tue cosce. La mia bocca

ti sputa veleno in bocca. Tu, bellezza ripugnante.

          Io non sono affatto una bestia. E comunque la mia lama,

che scivola linda nel tuo collo tozzo

          mentre la fantesca protegge dal tuo sangue

me e il mio vestito buono, sarà un inno

         che la parrocchia canterà per secoli. Dillo a Maria.

Dillo a Eva. Dillo, racconta di me a Salomè e David.

         Guarda le loro facce, come la tua, diventare verdi.

Paul Tran, da Nuova poesia americana, vol. IV, a.c. di j. Freeman, trad. di D. Abeni.

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