DOPO?

Ormai lo abbiamo capito tutti, anche chi non vuole capire: il virus si adatta, è capace di inventarsi strategie per aggirare i controlli. Verrebbe da pensare che non è possibile prevedere o solo supporre come finirà la storia in cui siamo, nostro malgrado, coinvolti. Forse diventerà un virus che causa solo poco più di un raffreddore, come per altri 200 dicono gli esperti, che abbiamo attorno e non faremo altro che vaccinarci ciclicamente, chi vuole, come per l’influenza. Intanto non ci è dato di sapere quante saranno le persone che si vaccineranno per il covid, dove c’è la fortuna di averlo a disposizione, magari gratis, in quali aree geografiche e con che estensione, quanti si rifiuteranno, e non per motivi sanitari, permettendo di fatto una maggiore circolazione del morbo. Certo è che il virus non ha avuto lo stesso impatto e le stesse conseguenze in tutto il mondo, diversi sono stati i tassi di contagio, di malattia conclamata e di mortalità a seconda dei Paesi colpiti, a causa della posizione geografica (popolazioni più isolate, con meno concentrazione della popolazione, e dove regna un sistema più collettivo, centralizzato o dispotico hanno avuto più facilità a controllare l’epidemia, come nei Paesi orientali, Giappone e India esclusi), della situazione ecologica, della demografia, dell’approccio psicologico e, naturalmente, politico.

La novità rispetto al passato è che il virus ha colpito proprio quelle società che avrebbero dovuto meglio assorbire l’impatto, cioè quelle ricche e tecnologiche e, in particolare, occidentali, creando invece proprio lì instabilità sociale e economica che si protrarrà anche quando l’emergenza sarà terminata e i provvedimenti eccezionali risulteranno, o dovrebbero risultare, ingiustificati. I problemi che sorgeranno li conosciamo anche troppo bene, ci sono stati ripetuti fino lo sfinimento (ma non per questo non sarebbe giusto non ribadirli): problemi famigliari da post isolamento, perdita del lavoro, aggravamento e decesso di un numero crescente di malati oncologici, cardiovascolari che non hanno potuto avere diagnosi preventive, interventi chirurgici, e, in alcuni casi, pochi per fortuna, cure adeguate, disagio, se non situazioni di stato psichiatrico, soprattutto per adolescenti e bambini, che si sommano alla incompiutezza della preparazione scolastica e culturale.

Uscirne presto e in maniera il più possibile indolore è fondamentale, anche perché è facile immaginare uno scenario globale che marcia a più velocità, là dove chi si tirerà fuori con maggiore solerzia, grazie anzitutto a una politica vaccinale coerente, puntuale e il più possibile estesa, potrà godere di tutti i vantaggi economici, politici e, soprattutto, psicologici per l’intera popolazione. Ma non solo, coloro che rimarranno indietro potrebbero avere anche seri problemi sul piano politico, interno e internazionale.

Un problema però rimane aperto a tutti i livelli, quello dei diritti personali e fondamentali, che potrebbero essere messi in crisi se a essere premiate saranno proprio quelle società, quei Paesi, dove esiste già un potere non del tutto liberale, e non solo, anche le libertà che sono state ristrette nell’emergenza potrebbero non essere del tutto restituite ai cittadini; un ritorno alla normalità insomma sì, ma di differente segno e valore. Forse una cosa, un concetto sarebbe bene che si cominciasse a fare girare foss’anche solo a livello preventivo, e cioè, parafrasando Gilberto Corbellini, che il virus non si trasmette, l’epidemia non si diffonde, per colpa della troppa libertà, ma è certo che tutto ciò che può fermarlo, ciò che la scienza ci mette a disposizione e l’economia che lo rende possibile, sono il frutto della libertà di pensiero e di tutto ciò che da essa ha origine e che a essa gira attorno. Non usufruire di ciò che la scienza mette a disposizione può essere un atto e una scelta legittima, ma inavveduta, quanto anche un gesto di egoismo sociale, una negazione dell’Altro e uno sfregio a quella libertà di ricerca e espressione per cui si è combattuto per secoli al fine di migliorare la condizione umana, accettandone anche i rischi che l’Apparato sottintende, come scrive un filosofo di recente scomparso, scegliendo, come sempre nella storia umana, il male minore.

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