RECUPERARE L’IDENTITÀ

G. Paolini, Destini incrociati, 1975

Immagine di copertina: M. Pistoletto, ConTatto, 2007

Tra le tante considerazioni che si possono avanzare all’interno della questione no-vax vs pro-vax ce n’è una che emerge e che, forse, si allarga al di là della polemica: la disinformazione. Il non essere informati o non bene informati, porta inevitabilmente alla diffidenza, a essere condizionabili e a creare barrire a seconda del tipo di influenza a cui si è soggetti, alla scelta, più o meno consapevole, della bandiera da seguire, là dove sarebbe necessaria invece unità e coesione e, può sembrare strano, ma uno dei maggiori fattori che rende possibile una unità è il senso di identità. Identità non tanto caratterizzata dal luogo di nascita comune, o dal condividere la stessa lingua o dialetto, quanto nel sapersi riconoscere in quanto partecipi a elementi interiori che ci associano, in cui si crede e ci si riconosce, cioè nella cultura. La cultura, quell’insieme di abitudini, di passato storico, di usi, di opere d’arte e di letteratura, di scienza, di religione; tutto ciò che ci ha preceduto, non sono altro che la manifestazione più evidente e la rivelazione di una identità collettiva.

Sono ormai quasi due anni che questa pandemia ci perseguita e ci attanaglia e ci costringe a una lotta interiore ( e non solo) tra ciò che pensiamo di essere e ciò che crediamo di volere, tra il proprio Sé e il Noi, tra il Loro e gli Altri. Il dibattito o meglio lo scontro sul vaccino e sul green pass ne sono un esempio coerente e evidente.

Il bisogno di ritrovarsi, dello stare assieme, di socialità si è fatto sentire più forte ancora quando, grazie ai provvedimenti presi e alla risposta intelligente e consapevole di (quasi) tutti gli italiani, si è cominciato a sentire di nuovo l’odore, non dico della libertà, termine usato impropriamente e troppo leggermente da molte, troppe persone, ma della normalità, nel senso di un, se pur non totale, ritorno alla vita che si svolgeva prima della pandemia. Ne è conseguito durante l’estate la ricerca da parte di molta gente di luoghi e occasioni che, in modo o nell’altro, riportassero alla luce i luoghi, le storie, le occasioni per rivivere la propria storia, la propria identità. E il più delle volte entro i confini nazionali, alla ricerca di una storia culturale e artistica che, per una volta tanto, non è stata sopraffatta dalla mania dell’esotismo e dell’esterofobia.

La comunicazione, i “contatti” umani durante la pandemia sono stati assicurati più che altro dai media e, soprattutto, dai social. Ma in realtà questa connessione tra persone e gruppi è capace solo di creare una specie di illusione di partecipazione e comunità. Come in un mega-store, dove troviamo di tutto e tutto è bello, attraente, offerto a buon prezzo e alla fine nella confusione non compriamo nulla. Così il discorso vale per l’eccesso culturale e, soprattutto, a-culturale che social e rete offrono e nei quali tutti si sentono informati dalla disinformazione, nel senso che i contenuti sono talmente tanti, vari e spesso offerti senza un ordine razionale e culturale, estrapolati da discorsi ben più complessi e completi, da creare in chi li recepisce solo un “vago” sapere, una infarinatura, dietro la quale, garante il social e la rete, si cela la pretesa dell’”esperto”, e, cosa peggiore, non quella dell’opinione personale, del valore dell’”io credo che”, ma del si dice che”, dell’”ha detto Caio o Tizio” che, naturalmente sono dei tecnici spesso in contraddizione, in quanto già reinterpretati e isolati in singoli segmenti di discorso. E si tenga ben presente che la colpa di tutto ciò non è della rete che di per sé è un mezzo di grandiosa libertà e di crescita verso un completamento dell’essere umano, ma di chi la usa e di come la usa, la interpreta. Conseguenza più frequente è una specie di auto-isolamento culturale all’interno di determinati settori di scelta. Non più il sano indagare attraverso le opinioni, i fatti visti e valutati da diverse prospettive, la valutazione dei pro e dei contro, la presa di posizione critica su quanto si legge e anche sulle proprie idee formatesi, ma una paranoica ricerca di sicurezza, di conferma delle posizioni prese, una frequentazione esclusiva di siti e luoghi che possano senza ombra di dubbio confermare ciò che si crede o meglio, che si vuole credere. Insomma un modo di quietare le proprie paure e le proprie frustrazioni. Ore spese a cercare proprio quel titolo a effetto (senza poi leggere l’articolo intero spesso), in quel determinato sito, in quel particolare social, che confermi ciò che si pensa, scartando a priori quello che si pone in opposizione critica e non necessariamente come negazione del valore di un detto.

E allora sarebbe importante cercare di recuperare la cultura per quello che è veramente, e non intendo un accumulo di nozioni o un pezzo di carta che attesti le capacità e le competenze, ma un qualcosa che ricorda cosa siamo, animali umani, cosa vogliamo o a cosa tendiamo, se tendiamo a qualcosa, sempre all’interno dello sguardo verso l’altro, poiché senza l’altro, diceva qualcuno, neppure noi siamo, alimentando quel significato e senso di comunità che ci è indispensabile e di cui abbiamo bisogno per ritrovare quella presunta “normalità”.

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