NON SOLO PROVOCAZIONE.

Fino al 20 febbraio 2022 al Pirelli Hangar Bicocca di Milano si può visitare la mostra “Breat Gosts Blind” che segna il ritorno in Italia in esposizione di Maurizio Cattalan. Il più noto artista italiano al mondo, residente negli USA, è sempre stato al centro delle polemiche e, soprattutto nel nostro Paese, poco capito, e considerato più che altro un “provocatore”. Certo lo è, come tutta la grande arte, ma le sue opere andrebbero viste e capite anche secondo il pensiero contemporaneo con un piccolo sforzo, senza limitarsi a considerare tutto all’ombra di Raffaello o di Monet, come accade in gran parte dei Paesi occidentali dove, infatti, Cattalan è una vera e propria star che nulla ha da invidiare alle pop stars, neppure nel portafoglio. Ma a parte ciò è, a mio parere, anche un grande artista. Presento qui tre delle sue opere più discusse, non le più recenti, cercando di comunicare, se possibile, un senso.

L’opera di Cattalan sembra mirare allo stupore e alla provocazione con un linguaggio attualissimo che predilige soggetti inconsueti e capace di far riemergere nello spettatore, dopo aver sopito una certa “repulsione” e “fastidio”, i frammenti della propria coscienza e pezzi apparentemente perduti di turbamenti ancestrali. Insomma è ancora quell’operazione in qualche modo erede della tradizione novecentesca cara a tanta arte e letteratura che, sulle orme dell’opera freudiana e dei suoi sviluppi, scavano nell’inconscio cercando di portare alla luce la parte più nascosta e gelosamente custodita dell’”animo” umano e che si potrebbe definire artisticamente il “mistero” della vita stessa. Da questo punto di vista ha ben intuito Nancy Spector quando nella presentazione alla personale dell’artista italiano al Guggenheim nel 2012 scrisse: Per Maurizio Cattelan il sistema dell’arte funziona come il lettino dell’analista; è un non luogo in cui fare emergere derive, angosce e contraddizioni”, che realizza e visualizza attraverso il flusso delle libere associazioni, di pensieri selvaggi e fantasie vietate e inibite.

Così l’opera del 2004, che già suscitò tanto scalpore, “Tre bambini impiccati in Piazza XXIV Maggio”

istallata a Milano per la Fondazione Trussardi e che rappresenta appunto tre fantocci di bambini impiccati a un albero, fu allestita il giorno dell’anniversario della morte di Napoleone, e la si può leggere come un miscuglio di simbologie celate, ma ciò che più risalta e può dare fastidio è l’estremo realismo con cui è realizzata. Sembrano tre veri bambini dei nostri giorni, jaens e T-shirt, niente scarpe e i piedi sporchi, come se avessero camminato sull’asfalto, gli occhi spalancati. Potrebbero essere i figli di chiunque passa vicino a quell’albero, ma, al tempo stesso, non esserlo, un argomento che non ci tocca direttamente. Il traffico si trovò quasi intasato dalle auto dei cittadini che si fermavano per tirarli giù, ci aveva già provato un ubriaco, e nessuno aveva pensato, non senza ragione, che l’intento dell’artista era quella di mettere davanti agli occhi di tutti come la realtà quotidiana, quella realtà che vediamo alla televisione e sugli altri media, è molto più scioccante, violenta e diretta di quella rappresentata nell’opera. I bambini hanno gli occhi aperti sul mondo, su di noi, ci spingono e invitano a riflettere e a interrogarci su quanto ci circonda e spesso, troppo spesso, assorbiamo senza un reale “perché” e senza una percezione critica.

Altra opera altro scandalo, soprattutto mediatico, i telegiornali ne parlarono a gran voce. “La nona ora”,

con l’immagine di Papa Wojtyła imbrattato di sangue e steso sul pavimento del Sagrato colpito da una meteorite. L’opera fu presentata a Londra nel 2000 per la collettiva “Apocalypse” tenuta alla Royal Academy. Parole di critica acerrima e di risentimento, quasi fosse stata lanciata un’ingiuria, un’offesa alla santità del Papa o della religione stessa. L’ora nona si riferisce all’antica ripartizione della giornata, per cui corrisponderebbe circa alle 15.00 dei nostri tempi: l’ora in cui Gesù è spirato in croce. Forse Cattalan, non nuovo a certe suggestioni, ha voluto in qualche modo ricordare la condizione esistenziale umana, il male che perseguita l’uomo il quale, pur accusando il colpo, riesce a reagire. Giovanni Paolo II non è morto nonostante il meteorite che l’ha colpito, ma rimane ben saldo attaccato alla croce, cioè a quei valori, in questo caso cristiani, che permettono all’uomo di superare ugualmente anche le prove più acerrime.

Non è una novità nell’artista italiano portato spesso a rileggere la crisi dell’uomo di fine secolo e inizio nuovo millennio con un linguaggio artistico innovativo, che fa della provocazione solo il mezzo più rapido (e efficace) per poter comunicare altro. È ciò che accade di nuovo con “Him” (Lui) del 2001, l’opera battuta da Christie’s a New York alla cifra record di 17 milioni di dollari.

Hitler, di cui l’autore non osa nemmeno usare il nome nel titolo tanto è l’orrore che suscita, è in ginocchio e prega con gli occhi pietosamente rivolti verso il cielo. Si potrebbe leggere come una dichiarazione all’impossibilità di poter perdonare il gerarca nazista per tutto il male compiuto, ma anche il simbolo del male che sa presentarsi spesso nella maniera più innocua del mondo, seducente, persino incline a destare una certa “ammirazione” per l’atto di sottomissione rappresentata dall’inginocchiamento e che cela invece la peggiore natura dell’uomo, anzi non peggiore, ma il valico stesso del limite per cui ci si può chiamare ancora uomini. La fine dell’umanesimo che ha retto la nostra cultura per millenni e ormai destinata a lasciare il posto a nuove e inedite e ancora non definite proposte. L’opera fu esposta nel 2012 nel ghetto di Varsavia, nel luogo in cui nessuno avrebbe mai osato mettere un’immagine simile, per alcuni uno smacco verso tutto ciò che quegli abitanti ebrei dovettero subire. Una provocazione indegna, avrà pensato qualcuno, ma non il Rabbino capo della Polonia, Michael Schudrich, che aveva acconsentito al progetto di Cattalan dichiarando: È un’opera d’arte che vuole parlare del male, e delle situazioni in cui il male si nasconde dietro diverse sembianze (…) Ho pensato che il progetto potesse avere un forte valore educativo”.

E non solo, con l’istallazione di questa opera in quel luogo, il ghetto di Varsavia, uno dei posti in cui la tragedia e il dolore umani si sono consumati in maniera oltremodo tragico, quasi si trasforma nel luogo rappresentativo di un’opera che oltrepassa nel suo significato le coordinate del tempo e dello spazio creando un concetto diretto cortocircuitato tra arte e vita.

Comunque la si voglia vedere quindi l’arte di Maurizio Cattalan si denota per un’attualità sconcertante che non abbandona il reale, anche se attraverso un linguaggio provocatorio e a volte al limite del “fumettistico”, ma perfettamente coerente e anche innovativo rispetto la visione contemporanea del mondo che ci circonda, che abbiamo creato e nel quale, lo si ammetta o no, ci piace vivere.

Lascia un commento