LE PARTICELLE ELEMENTARI.

LE PARTICELLE ELEMENTARI.

Pescando tra la pila di libri comprati e accantonati in attesa di essere letti, mi è capitato tra le mani quello di Michel Houellebecq, scrittore francese che conoscevo solo per aver letto di lui su recensioni e riviste e noto soprattutto per la sua letteratura “scandalosa”. Le particelle elementari il titolo del noto libro, caso editoriale di fine scorso millennio, è stata una piacevolissima sorpresa. Romanzo nuovo e profondo, non ascrivibile a nessun genere. Una letteratura che vale la pena di conoscere.

Appena uscita nel 1998 l’opera dell’autore francese ha subito diviso critica e pubblico, cosa già accaduta per i precedenti romanzi, tra chi lo inneggiava come capolavoro e chi, al contrario, ne metteva in evidenza la crudezza e l’estremismo, manifestato da alcune posizioni riguardanti la critica alla società, alla politica e, più in generale, al sistema di vivere occidentale che si era andato affermando dagli anni ‘60 in poi attraverso le varie manifestazioni hippie, beat, new age e alla così detta rivoluzione giovanile, specie in riguardo alla liberazione sessuale. È vero che il libro è teso, in fondo, all’analisi della realtà contemporanea che fa in maniera fluida e coerente, ma il suo non essere lineare e lo spaziare da un argomento all’altro, dalla filosofia, alla letteratura, alla scienza, alla sociologia, trattati spesso con un aperto e marcato cinismo e un linguaggio diretto, specie nelle scene sessuali che, per alcuni sfiorano la pornografia, ne fanno un romanzo che, se da una parte si legge con facilità, crea uno stato di irritazione e di ansia che può depistare il lettore.

In quello che può apparire un vero e proprio “calderone” in cui confluiscono le nozioni e le problematiche che attraversano il nostro mondo sotto vari aspetti, da differenti punti di vista e, come accennato, usando ambiti disciplinari differenti, ciò che rimane alla base e al centro degli interessi dell’autore sembra essere soprattutto l’angoscia per la finitudine dell’essere umano, la sua condizione mortale, e la sofferenza che deriva e riempie la sua esistenza davanti l’evidenza del decadimento fisico e psichico che inevitabilmente lo coglie con l’avanzare dell’età. Un problema senza soluzione apparente, ma che all’interno del romanzo trova un esisto in una svolta fantascientifica, che però non ha nulla che lo possa ascrivere al genere, e che lo avvicina molto a posizioni che potremmo definire quanto meno postumaniste.

La trama gira attorno i due protagonisti principali, due fratelli completamente differenti, l’uno scienziato serio e di successo e con problemi di adattamento sessuale, e l’altro umanista, professore in un liceo, con tendenze di carattere autoritario e fascistoide, ma che condividono, oltre alla passione-ossessione per la madre, una tensione della percezione del decadere del mondo che li circonda, di una società in cui le istituzioni sono state ormai fatte degenerare, senza nessuna sostituzione di “valori”, dalle varie rivoluzioni culturali che l’hanno attraversata. Simbolo di tutto ciò è la condizione di infelicità dell’essere umano, reso tale dal decadimento fisico, dalla morte inevitabile e, in fondo, da quella che si potrebbe definire la coscienza individuale. Condizione a cui i due reagiranno in maniera diversa, ognuno seguendo la propria indole. L’uno, lo scienziato, esasperato da problematiche erotico-sessuali, cercando i fondamenti per generare una nuova “razza” umana esente da tutte le problematiche esistenziali, l’altro attaccandosi in maniera morbosa alla sessualità e a esperienze pseudo-mistiche di carattere new age.

Personaggi minori, ma di fondamentale importanza, sono poi due donne. La madre dei due, ex ricca sposa di un famoso chirurgo estetico, e dedita dopo il divorzio alla vita hippie che la porterà alla morte e per lo scienziato una antica fiamma liceale che caratterizzerà, non propriamente in senso positivo, la sua vita erotica e sentimentale. C’è anche uno spietato serial killer a sottolineare la perdita do ogni senso e valore della vita umana, una presenza tardiva nel romanzo, coadiuvato da descrizioni di sevizie e omicidi raccapriccianti, ma fondamentale nella diegesi del romanzo.

Si sente in questo romanzo l’influenza profonda di Aldous Huxley e del suo libro più famoso Mondo nuovo, cosa non negata dall’autore che anzi dedica al romanziere inglese ampi dibattiti tra i due fratelli. Nel libro di Huxley il mondo nuovo è quello in cui è impossibile essere infelici, condizione ottenuta tramite la fecondazione artificiale generalizzata e la creazione di innumerevoli gemelli, la suggestione psichica, la divisione in caste, la liberazione totale del sesso privato di ogni aspetto sentimentale, e l’uso della “soma” una droga che regala “vacanze” magnifiche. Insomma, in un certo senso, attraverso l’estirpazione della coscienza individuale. Per l’autore francese nel libro di Huxley è assente (o meglio nel suo caso non è stato previsto) l’individualismo e una sorta di razionalismo che invece riempirebbero la nostra società, che rendono il mondo odierno un insieme di “particelle elementari” indipendenti incapaci di creare legami tra loro e dove l’insoddisfazione, l’egoismo e l’invidia sono le caratteristiche dominanti che hanno portato allo svuotamento dei “valori”. Anche per Houellebecq la soluzione è porre fine a una presunta coscienza individuale per favorire una “mutazione”, in un certo senso, “mistica”, operata con la manipolazione genetica del DNA e che conduca all’immortalità e all’assenza del dolore.

Come si può notare sono posizioni estreme e provocatorie in cui pervade un nichilismo tipico dell’autore, ma che fanno riflettere e molto, anche alla luce delle ancora in corso discussioni sul postumanesimo se non sul transumanesimo. Tuttavia, anche per come il romanzo è scritto e costruito, si tratta certamente, mi sembra, di un’ottima opera, originale e nuova che merita senza dubbio di essere letta con attenzione.

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