INUTILI SOUVENIRS.

 

Il vecchio tavolino di legno bianco accanto al mobile rurale post bellum, e sulla poltrona il nonno, e mio padre alla sedia, immersi nel niente di quei rumori che arrivano dal silenzio chiassoso finalmente raggiunto a sera, stanchi. Era il gorgogliare della pentola che lasciavo mezzo ubriaco da serate goliardiche sul gas, spaghetti in mano e aglio friggente, per lo spuntino a tarda notte, prima del letto. Ancoraggi del nulla che si sfiorano appena e sforano dai parietali saldati di questa assurda scomoda nuova lucidità che annebbia, distorce il reale in virtuale, mentre dentro strane biochimiche rimbalzano divertite, forse, da un neurone a una sinapsi, o viceversa, scariche elettriche lungo segmenti grigiastri pronti a guastarsi. C’è lo sguardo catarattico del nonno che fissa il fuoco, solo bagliori probabilmente, e quello attonito dalle cento ferite scrutate e suturate, dalle fronti febbricitanti, dagli ululati penetranti di infanti dal quadro incompleto e dalle nenie di madri e padri dagli specchi incrinati. Che cosa fanno qui questi inutili ricordi che si accavallano improvvisi e instabili, pronti a sparire in un batter d’occhio, a essere sostituiti da altri o da fughe metaforiche nel presente? Il mazzo di pasta come un pugno di storte da laboratorio e l’aglio che frigge, si muove nell’olio come cosa viva e probabilmente lo è, simulando nuovi rimedi, antidoti o miracolose alchimie opposte alla resa quasi totale, anche se inconsistente e precoce, dei circuiti emotivi logorati. Ci sarà di nuovo un altro aprile o maggio sul piano inclinato di una pazzia che avanza, ma arretra nel solco di un’emergenza storica ripetitiva, ciclica e circolare, mai uguale a se stessa, ma se stessa nella coscienza limata per rendere piano ciò che rimarrà una superficie ondulata con solchi più o meno profondi. Il babbo e il nonno lungo un corridoio ottuso si drogano di nulla direttamente in vena, nel sangue ormai secco che oppone resistenza, mentre qui è presente, il passato non seve, non cambia niente, come un futuro che non esiste se non come presente nel presente, qui e ora, in un percorso rettilineo d’esperienza, un viaggio in metropolitana dove le stazioni si susseguono indifferenti. Uno sguardo dal finestrino e se non piace il panorama, c’è sempre l’altro lato, magari meno angoscioso, pieno di gente che è solo gente, un supermercato dove l’io è il tutto e il tutto è l’io, inutile, fino all’ultima fermata con un biglietto raramente di andata e ritorno.

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