LA BENDA SUGLI OCCHI.

Affascinante questa storia di Silvia Romano. Adatta a prendere e calare il Paese in polemiche stantie e riciclate evadendo sempre il problema principale. Diciamo subito che delle scelte religiose, sentimentali, morali della Romano non ce ne importa proprio nulla, anzi in fondo il problema non è lei, poteva essere qualsiasi altra persona, e non è la prima volta che da quella drammatica “avventura” siano tornati cittadini italiani convertiti all’Islam e che per il loro rientro siano stati avviati negoziati, come per Luca Tacchetto (per il quale non sono chiare le modalità della scarcerazione), o per Alessandro Sandrini. È forse interessante come si veste Silvia? No. Anche se negli abiti può essere sottintesa una simbologia più o meno evidente e i simboli sono qualcosa di molto importante. Possono essere interpretati come dei manifesti o delle provocazioni, si deve sempre stare attenti, in un abito, in un simbolo, si possono incarnare dei significati, giusti o no non è il problema, sta di fatto che si recepiscono e un semplice abito acquista un significato, magari inaspettato, spesso prevedibile. E quell’abito un significato l’ha. Non interessa neppure se è stato indossato in buona fede, o ingenuamente, o se c’entra qualcosa la “Sindrome di Stoccolma”, ma non deve stupire se qualcuno l’ha notato e si è sentito provocato. Cosa avrebbe detto l’opinione pubblica se, in tempi per fortuna andati, un riscattato dalle Brigate Rosse si fosse presentato alla liberazione e al pubblico avvolto nella bandiera con la stella a cinque punte? Sindrome di Stoccolma? Certo i casi non sono equiparabili, ma c’è da rifletterci sopra.

Ma ripeto, il caso singolo non importa e ci si può solo sentire sollevati per il buon esito con il quale si è concluso, il ritorno a casa di una giovane sana e salva da una situazione drammatica e traumatizzante. Non mi piace parlare di politica e tanto meno dei politici, delle loro sinapsi e neuroni che si scambiano informazioni per via burocratica, e l’ideologia, le ideologie, per me sono morte e sepolte ben prima dell’89. Però a volte diviene proprio inevitabile, specie quando la libertà, quella spicciola, quella personale, quella che si cullerebbe bene nell’indifferenza, comincia a traballare sotto la pressione di chi ha tutto da guadagnare da polemiche inutili e dall’apatia di chi si accontenta di sentirsi dire proprio quello che voleva gli si dicesse, senza pensare se può essere o non essere la strada giusta. “Vuoi le caramelle alla liquirizia? Le ho al latte senza zucchero e mi sembrano più buone e sane e non alzano la pressione, ma ti prometto quelle alla liquirizia, poi vedrò se le trovo, ma tu sorridi lo stesso, applaudi, acconsenti”.

Fuor di metafora qui ci si trova di fronte a una questione di scelte, e di scelte politiche, che dovrebbero essere fatte per la comunità e non per il proprio appagamento e consolidamento del potere personale, di qualunque colore esso sia. E allora è sensato, ragionevole, pagare un riscatto a dei terroristi? Non mi piacciono le posizioni statunitensi o inglesi di assoluta chiusura alla mediazione e alla “contrattazione” (brutto questo termine usato a proposito di persone), soprattutto per gli effetti collaterali che possono comportare, ma non è da escludere a priori.

Un politico, se tale è, dovrebbe porsi delle domande e, magari, darsi delle risposte che, spesso, non coincidono con il pensiero comune, non sono popolari, ma non per questo errate. Lasciamo perdere la coerenza che proprio non è stata dimostrata, anzi mi correggo, lo è stata. L’assembramento dei giornalisti all’arrivo della ragazza non era fuori legge come quello degli imprenditori a Milano? E perché allora non multarli tutti? Per coerenza, visto che questi hanno fatto pubblicità a dei politici e è quello che a loro interessa, non esprimevano un dissenso, anzi il contrario. Lasciamo perdere.

Dicevamo scelte politiche, domande. Prima fra tutte cosa vuol dire pagare il riscatto a dei terroristi? Forse che, come molti ritengono, e in passato anche lo Stato italiano, ha un retrogusto di cedimento di fronte la strategia del terrore? Può essere. A cosa servono, come vengono utilizzati quei soldi? Ce lo hanno detto i rapitori, a comprare armi, ma non c’è bisogno del senno di poi, era prevedibile, per non dire scontato. Il politico, tutti i politici o quasi da che mondo è mondo, possono ragionare a questo punto pensando: “armi da rivolgere verso chi? Contro anziani, bambini, donne, civili non nel loro Paese? Bè affari loro, non ci guadagno o perdo nulla, se non qualche milione di euro.” Ancora senza il senno di poi, non si sa forse che quel terrorismo vuole colpire l’Occidente e quindi anche lo Stato che quei politici dovrebbero rappresentare e difendere? E allora non può sorgere il dubbio se sia giusto mettere a repentaglio la vita di decine e decine di persone in uno o più attentati, piuttosto che rischiarne una? Non so, datevi una risposta.

Che poi lo Stato italiano abbia a cuore la vita e l’incolumità del singolo cittadino tanto da cedere al ricatto, mette in luce la memoria corta, o meglio, i peggiori difetti dei nuovi politici, l’ignoranza e l’ipocrisia. Quando rapirono Aldo Moro lo Stato fu fermo, “non si paga”. Più o meno. A prescindere dalle decine di miliardi di lire pronti per il riscatto e fermi in Vaticano e provenienti probabilmente da Israele per l’interessamento diretto nella questione di Montini, Paolo VI, è chiaro che dietro c’erano questioni politiche, e che principalmente lo statista democristiano stava diventando scomodo a tutti, destre e sinistre e centro, CIA e KGB, probabilmente perché aveva intuito il modo di uscire dall’impasse del momento, forse proprio superando lo sbarramento ideologico e intravedendo la possibilità del Compromesso Storico, ma quei politici corrotti che sarebbero finiti, chi direttamente, chi in maniera più defilata, nelle maglie del pool di “Mani pulite”, sapevano a cosa sarebbero serviti quei soldi e ci pensarono bene prima di cedere al ricatto, per lo meno si posero delle domande, anche se metà Paese a partire comprensibilmente dalla famiglia di Moro, li chiamarono poi “assassini”. Questo non accade più, la politica è ormai troppo presa da se stessa, dal gioco del potere che sia personale o di partito non cambia molto e soggetta a altri poteri che la dirigono, quello scientifico-tecnclogico-economico in primis.

Nessuno ha una soluzione, come sempre, ma sarebbe già importante che tutti si ponessero delle domande guardando a come stanno le cose, senza lasciarsi trascinare da specchietti per le allodole e da falsi interessamenti di chi persegue solo il proprio fine personale. Insomma a essere non solo “razionali”, ma anche “ragionevoli”. Perché tutto non è come appare, si prenda ad esempio la pubblicità: marchi, supermercati, banche, compagnie assicurative che cavalcano l’avvenimento del momento pur di vendere e non importa se la circostanza o l’evento è il Mondiale di calcio con gli spot pronti a seconda dell’esito delle qualificazioni, o il virus che ha ucciso e costretto all’isolamento migliaia di persone. Va tutto bene, tutto è lecito se si tratta di vendere, che sia un bagnoschiuma o la propria immagine politica, nessuno si sentirà offeso, leso, tranne chi c’è morto, ma loro non protestano. Troppo tardi, anche loro in quelle réclame sono parte del business.

Fuor da polemica, che neppure interessa più nessuno, la situazione è questa e, per parafrasare in malo modo Hegel, quello che conta oggi per la maggior parte della gente è che “Tutto ciò che dice il telegiornale è reale, tutto ciò che è reale lo dice il telegiornale”, e aggiungiamo pure talk show più meno intelligenti, social media e compagni vari.

 

 

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