PAURA D’AVERTI (2).

 

Poi qualcuno è uscito dalla sala operatoria. Un medico, un infermiere, mio padre anche lui medico. Ha detto solamente quattro parole prima che le lacrime gli strozzassero la voce:

“È una bambina bellissima”.

Avevo visto altre volte mio padre piangere, molte altre volte, è un uomo che si commuove facilmente, nonostante il lavoro che fa e le tante tragedie viste e vissute. Non è bello sai, sentirsi dire per telefono frasi come “la volevo avvertire che il suo paziente purtroppo è deceduto”, non fa piacere a nessuno, a nessun medico, ma l’emozione è diversa se sei un pediatra.

L’ho anche visto piangere quasi fingendo di farlo, teatralmente, ma mai come quella volta le lacrime scendevano abbondanti, la voce era rotta in un rantolo quasi da spasmo, il viso contorto in una smorfia da paresi facciale. Sembrava una maschera del teatro tragico greco. Eppure gli occhi luminosi e resi quasi trasparenti dal filtro acquatico e salino delle lacrime sulle cataratte opache lanciavano una luce di estrema felicità. Guardavano nel vuoto, nonostante la piccola folla che l’attorniava e chiedeva notizie e impressioni, e quel vuoto era riempito dalla gioia, da una sensazione di mondo concluso. E sì che di nipoti ne ha avuti. Sarà la vecchiaia. Chissà se riuscirai a conoscere i tuoi nonni, non vederli, quello lo fai anche ora, conoscerli e amarli così come è accaduto a me con i miei.

Sai il primo tuo bisnonno è morto che avevo circa sei anni. Il babbo della tua nonna materna. Non ho molti ricordi, solo che, quando la mamma mi venne a svegliare la mattina per vestirmi e con le lacrime agli occhi, le chiesi subito, visto che avevo intuito che stava male, “dove è il nonno?”, e lei mi rispose con un sorriso strozzato: “in cielo con gli angeli”. Poi, molti anni dopo è toccato alla tua bisnonna materna. Stava male da tempo, è morta a pochi metri da me e sentii mia madre dall’altra stanza gridare con una voce da posseduta “Mamma, mamma…”, e sì che non andavano neppure troppo d’accordo all’apparenza.

Ero già grande, avevo venti anni, ma rimasi sconvolto. Passai almeno le due ore successive, mentre pulivano il cadavere e l’addetto alle pompe funebri illustrava ai parenti i vari modelli delle bare, dall’utilitaria, alla berlina, alla fuoriserie, nel terrazzo a suonare la chitarra e a guardare nel vuoto. Non ho avuto neppure il coraggio di andare al funerale per paura di sentirmi male. Una vigliaccata certo, ma anch’io come il tuo nonno mi commuovo facilmente e poi, sono sicuro che la nonna mi ha già perdonato.

Tra l’altro era la prima volta che vedevo un cadavere dal vivo. Non in televisione, al cinema o su un quotidiano. Dal vivo. Ed è stata anche l’ultima volta.

I tuoi bisnonni paterni sono venuti meno che ero già un uomo maturo, ma il dolore, il senso d’impotenza, lo strazio non sono stati dissimili, mi avevano portato via, privato, di nuovo di una parte del mio mondo, di me stesso. Quelle persone che avevo amato, che mi avevano sgridato, che avevo visto correre, arrampicarsi nonostante l’età, piangere e ridere, erano ormai solo cose, oggetti distesi in un sudario bianco, freddo come la sostanza che ancora li avvolgeva. Materiali inanimati e inermi, soprammobili fuori luogo.

 

Comunque, tornando a noi, passò ancora qualche minuto, in quel corridoio con le pacche degli astanti che si abbattevano sulle mie spalle a mo’ di complimenti e il sollievo per avere saputo della tua salute e di quella di tua madre. Forse l’attesa più lunga, prima che un’infermiera sorridente ti portasse fuori, davanti a me, non in quelle specie di scatole di plastica con rotelle, ma in braccio avvolta in una coperta della quale non ricordo il colore.

Effettivamente eri una bella bambina che comparivi già come una star sulla passerella, con un numero eccessivo di fans attorno: flash fotografici, video camere digitali in azione, applausi e complimenti. Tutti avrebbero voluto toccarti e baciarti. Mi sembra che qualcuno ti abbia anche domandato un autografo. Ma tu sei passata oltre e ti sei infilata in una porta che subito si è serrata dietro di te. Il tuo servizio d’ordine era efficientissimo e intransigente.

Intanto tua madre non usciva dalla sala operatoria e quando la vidi sul lettino con le rotelle era ancora incantata dalla peridurale, ma tesa e stressata perché non ti aveva ancora visto, come si era invece immaginata dopo tante soap opere dove il neonato viene subito deposto, ancora insanguinato, sul seno della madre.

Domandava a me di te e io non sapevo cosa dirle. In verità ti avevo osservato molto bene prima che arrivasse lei. Attraverso un vetro al di là del quale altri bambini stavano nei loro letti, bambini di tutte le fogge, di tutte le razze. Ho dovuto domandare all’infermiere quali fossi tu. Stavo per dire quale fosse la mia, ma dicono che non sia giusto. È la solita stronzata politicamente corretta.

Stavi lì. Ogni tanto aprivi gli occhi e ti guardavi attorno, non oso neppure immaginare cosa tu provassi nel vedere quegli ambienti nuovi, bianchi e luminosi dopo tutti i mesi di stupendo e pacifico buio, ammesso che tu provassi qualcosa. Non riuscivo però a capire quale fosse il loro colore. Tua madre li ha azzurrissimi, io di un castano anonimo. Intuivo che se fossero stati azzurri saresti stata ancora più bella se possibile, gli occhi di tua madre perforano chiunque abbia la fortuna di incrociarli, ma nel fondo del mio animo speravo che fossero più simili ai miei o un qualcosa di ibrido. Non so perché, forse è quella forza istintiva che ti spinge a cercare l’eredità dei tuoi geni nei figli.

Ricordo che una volta, tanto tempo fa, proprio mentre si discuteva di te, di una o di un futuro te, stesi nel letto con la lampada accesa, in quella torre quattrocentesca restaurata con arte da un architetto, che avrebbe dovuto essere la tua casa, ma che decidemmo di cambiare proprio perché tu saresti arrivata e la ripidità delle scale avrebbe costituito un impedimento serio, dissi a tua madre che dopotutto c’era sempre l’adozione e lei, forse con una punta di comprensibile egoismo, mi rispose dura: “Io non voglio un figlio qualunque, lo voglio con il tuo e il mio patrimonio genetico”. Sembrerà stupido e un po’ scientificamente freddo, ma è stato un gran bel complimento.

Ti osservavo attentamente, ti studiavo attraverso quel vetro spesso che mi auguravo fosse antiproiettile e ti comparavo con gli altri neonati presenti nel nido. Sembravi irreale, non eri come gli altri. La tua faccia non era sformata, non avevi grinze, né colori strani della pelle tendenti al rosso, la testa perfettamente tesa, il cranio tondo. Ma soprattutto avevi una espressione serena e curiosa. Non avevi sofferto tu, non avevi vissuto quel passaggio allucinante, non ti si era fermato il cuore per una frazione di secondo mentre il ventre della mamma spinge verso quell’uscita stretta e ferita e che sembra non volere lasciarti uscire. Non avevi recepito la sensazione che tua madre, quell’involucro umido che ti aveva conservato per tanto tempo, nutrito, ossigenato e coccolato, voleva cacciarti via da sé, donarti agli altri. Sto fantasticando, forse.

Comunque c’eri ed eri lì.

A proposito di nuovo una piccola parentesi. Tutti noi pensiamo che il giorno della nostra nascita non sia accaduto nulla di importante, nulla se non, appunto, la propria nascita. Qualcuno ha scritto: Tutti i bambini mitizzano la loro nascita. È un tratto universale. Volete conoscere qualcuno? Mente, anima e cuore? Chiedetegli di quanto nato. Ciò che ne ricaverete non sarà la verità; sarà una storia. È una cosa estremamente vera, ma quando nasciamo succedono tantissime cose, alcune, forse, più importanti della nostra stessa nascita.

Così, quasi per farti un dispetto, voglio dirti alcuni fatti che erano accaduti mentre tu gettavi il tuo primo sguardo sul mondo. Intanto il Governo era già in crisi e l’opposizione e il suo pagliaccio di turno ne chiedevano le dimissioni, ma questa non è una gran notizia perché, tu ancora non lo sai, ma sei nata in un paese chiamato Italia e capirai col tempo cosa significhi. E il pagliaccio di turno capo del Governo, non è, di solito, meno pagliaccio del suo avversario politico.

Tra l’altro c’erano le elezioni comunali o provinciali o regionali in varie parti d’Italia e si decideva, in fondo, il destino non di una persona, ma di milioni. Poi sempre il governo ladro aveva proposto un aumento di 101 euro sugli stipendi, una presa per il culo in pratica in un Paese che ha gli stipendi tra i più bassi d’Europa, un caro vita tra i maggiori e tasse alle stelle. Tra l’altro, presa per il culo per presa per il culo, anche da pagare solamente l’anno successivo.

Era indagato un alto militare della Guardia di Finanza per pressioni venute dall’alto. In Venezuela era un casino e USA e Iran avevano deciso finalmente di incontrarsi per parlare, o far finta, dei piani atomici. Liberato in Sardegna un allevatore tenuto in ostaggio per otto mesi, l’antitrust chiedeva finalmente più trasparenza alle banche e i Police avevano deciso di riunirsi per una serie di concerti.  La Juventus litigava con Lippi e il Chievo tornava in serie A. L’Italia Campione del Mondo si affrettava a sfidare la nazionale di alcune isolette del Nord Europa di cui non conoscevo neppure l’esistenza e che le avrebbero dato del filo da torcere. Vedi quante cose sono accadute quel giorno?

Certo per me e per tua madre e per un’altra decine di persone nessun avvenimento era più importante ed emozionante della tua nascita, ma noi eravamo appunto un pugno di persone, ciò che ti ho raccontato, ed è solo una minima parte, coinvolgeva milioni, in alcuni casi miliardi di persone.

 

Ti ho ripetuto fino allo sfinimento che in quei giorni e in quelle ore le mie preoccupazioni e le mie ansie erano più rivolte a tua madre che a te, tanto che potresti pensare che tu venga in secondo piano in una eventuale scala del mio amore. Non è così. Tu ora sei la cosa più importante per me, non oso neppure pensare come sarebbe la vita senza di te, senza la tua presenza, ma anche solo senza la consapevolezza che da qualche parte ci sei.

Quando sono al lavoro, a una conferenza, a una presentazione o solamente al supermercato per acquistare pannolini e omogeneizzati e so che tu sei al sicuro con tua madre, sento ugualmente che qualcosa mi manca, magari mi sporgo con uno scatto quasi felino al di là dello scaffale dei latticini perché ho visto scomparire dietro una pila di latte a lunga conservazione un passeggino e mi illudo che sia tu, anche se ho la certezza di sbagliarmi.

Vorrei però cercare di farti capire quale fosse la mia ansia in quei momenti e anche farti comprendere da cosa derivava, quale era il riflesso che l’amore innato e istintivo che tua madre provava per te fosse così immenso, già allora, tanto che io potevo solo intuirlo, non capirlo, e viverlo unicamente con la paura che lei subisse conseguenze disastrose se ti fosse capitato qualcosa.

Due giorni dopo la tua nascita io, poche ore dopo che ti avevamo registrato con il tuo bel doppio nome, ero al lavoro ad accumulare ancora le congratulazioni dei colleghi e degli studenti. Accadde qualcosa che avrebbe potuto sconvolgere l’esistenza non solo di tua madre e la mia, ma di molte altre persone. La tua mamma ebbe la compassionevole idea di non avvertirmi per non mettermi in ansia, sapeva che avrei abbandonato lì, su due piedi, la mia classe per correre da voi.

I medici la convocarono e, con più o meno tatto, le dissero di aspettarsi il peggio. Le analisi avevano rivelato nel tuo sangue una anemia gravissima, ti avrebbero trasferito in un ospedale più grande, nel capoluogo, per tentare una trasfusione totale di sangue in extremis.

Come ti ho detto io non ne sapevo nulla e ne venni a conoscenza solamente quando, rientrato dal lavoro, mio padre mi informò del fatto e che si era trattato di un falso allarme. Tanto per aprire una nota polemica, sappi che i medici dell’ospedale avevano avuto l’accortezza di avvisare telefonicamente mio padre, che come sai è medico, ma non tua madre. Lei seppe che l’allarme era rientrato da me, quando mi telefonò per dirmi che tu stavi molto male.

Ti domanderai perché io e, prima di me, tuo nonno non glielo comunicammo subito. Chiaramente perché eravamo certi che lo avessero già fatto i medici del reparto, sembrava logico a tutti e due che la prima a essere informata doveva essere la madre. Ma così non fu.

Chiusa parentesi.

Comunque quando arrivai all’ospedale, perché per telefono tua madre, nonostante la buona notizia, non riusciva a parlare rotta dal pianto com’era, trovai una donna distrutta. Ciò che ti racconto non l’ho vissuto direttamente, non c’ero, ma è parte di ciò che mi dissero i parenti che erano con lei per sostenerla in quei momenti terribili, e ciò che mi ha poi rivelato tua madre stessa quando riuscì a calmarsi. In quelle due o tre ore si era sentita una donna annientata, tutta la sua vita non valeva più nulla, io non valevo più nulla, nessun familiare, niente che esistesse sulla faccia del mondo.

Non so se chiese aiuto a un Dio o presunto che sia, tua madre è religiosa, ma credo che se lo ha fatto lo fece quasi più per abitudine, perché anche la sua fede in quel momento deve avere vacillato parecchio. Insomma tua madre penso che abbia meditato seriamente il suicidio se tu non fossi sopravvissuta. Credo che abbia puntato a lungo quelle grandi finestre dell’ospedale dai vetri sottili al terzo piano dell’edificio, non sarebbe stato nulla più di un salto, un volo per coprire quella breve distanza che l’aveva separata da te e raggiungerti in un qualsiasi altro mondo o, meglio, nel nulla assoluto.

Capisci ora le mie ansie, le mie paure di perdere ciò che avevo ed amavo piuttosto che scommettere su ciò che ancora non conoscevo? Lo spero, perché anche tu un giorno, me lo auguro, sarai madre.

Poi tutto ha ripreso il suo corso. Sei venuta per la prima volta a casa, sei cresciuta sana, monitorata giorno per giorno, con un pediatra a disposizione ventiquattro ore su ventiquattro. Sei cresciuta regolarmente, anche se tua madre era sempre convinta che tu fossi qualche etto più leggera degli altri bambini, che mangiassi qualche decina di grammi di latte in meno degli altri, che ne rigurgitassi troppo.

Non ti dico poi cosa è stato il dramma della tua cacca. Nonostante le rassicurazioni del medico la mamma era convinta che tu fossi l’incarnazione della stitichezza. E allora via clisterini di glicerina e, cosa più problematica, l’uso di mezzi meccanici. Un termometro, rassicurati non di vetro, o un sondino di gomma per stimolare il tuo orifizio anale. Neanche dirti che quest’ultima pratica toccava sempre, o quasi, eseguirla a me, tua madre aveva paura di farti del male. In compenso funzionava benissimo, aveva ragione il pediatra, ci regalavi delle caccone che sembravano, a volte, delle piene fluviali.

 

Sei nata all’inizio dell’estate, non come tuo padre in pieno carnevale o tua madre ad autunno inoltrato. Dovevi per forza di cose essere solare. E infatti sei stata e sei ancora una bambina buonissima con grande sollievo dei tuoi genitori. Non piangevi se non quando avevi bisogno di cibo. Dormivi e dormi di gusto. Ci avevano ossessionato con i tuoi probabili risvegli notturni, con le notti in bianco.

Mi spiace deluderli tutti.

I primi mesi non volevi se non una, massimo due poppate a notte e ti riaddormentavi subito. Poi, più grande, le notti sono diventate serenissime. Non ti svegliavi fino alla mattina, a volte anzi, dormivi troppo, aspettando le nove o le dieci di mattina per aprire i tuoi occhi. Se la genetica non è un’opinione sappiamo da chi hai ereditato questo piacere al sonno mattutino; da me? da tua madre? direi da tutti e due. Se è possibile, possiamo, anzi potevamo, passare ore e ore sotto le lenzuola storditi dalle spire di Morfeo fino a mezzogiorno da un dormiveglia meraviglioso, indipendentemente dall’ora in cui ci eravamo coricati la notte precedente.

Hai sofferto un gran caldo in quei giorni, te ne stavi nuda, con il solo pannolino distesa nella carrozzina o nella culla a braccia larghe, mentre noi cercavamo di renderti la stanza fresca senza creare correnti d’aria. Una bella impresa. Ma grazie al tepore dell’estate hai fatto cose che pochi bambini a quell’età possono affrontare.

Sei stata al mare. Hai vissuto per una settimana in un albergo extralusso dove anche i camerieri ti trattavano come una principessa. Sei venuta a Roma per assistere alla presentazione di un libro di tuo padre. Certo non ti ricorderai nulla di tutto ciò o meglio rimarrà in te come uno strato mitico fomentato dai nostri racconti, dalle foto e dai video, dai rimproveri che il nonno pediatra e il nonno fotografo ci facevano asserendo che eri troppo piccola per sottoporti a fatiche simili. Ma se hai ereditato il fisico da tua madre e da me, penso che non saranno queste le cose che ti spaventeranno.

Forse penserai che esageri e che non ci sarà nessun universo mitico a illustrare la tua infanzia. Scordatelo e lo puoi capire già da queste pagine. Tuo padre non potrà farne a meno di raccontarti ciò che hai vissuto e non come è stato realmente, ma come la sua fantasia o la sua immaginazione l’avrà trasformato nel tempo. Magari ogni volta in un modo diverso, con differenti particolari, con luce diversa. Letterizare la realtà, rendere tutto narrazione, è il mio più grande difetto, o chissà, pregio. Non ho fatto altro nella vita, leggere, immaginare, scrivere, dipingere più o meno bene, anche quando non si trattava di storie inventate o di poesia, ma di ricerche serie e, diciamo, scientifiche.

Ma in questo modo finirai per ucciderti. La realtà è realtà e se non la prendi sul serio finisce per schiacciarti”, dirai un giorno.  Lo so, ma ognuno di noi ha il proprio Killer che si nasconde dietro le lastre di marmo dell’angolo del palazzo di fronte. Non è una persona in carne e ossa, neppure una malattia, non il fumo, la droga o l’alcol e tanto meno il sesso, ma qualcosa che si ha dentro; un’idea, un modo di vivere, una nevrosi o forse solamente la voglia di vivere a ogni costo. Ogni vita implica una morte, è retorico ma è vero. “Nascemmo piangendo” studierai sui libri di scuola, anche se tu non sei nata piangendo, ma quasi indifferente seppur il tuo killer era già presente con quei tre giri di collana attorno al collo.

Ma non piangevi, che sia un buon segno?

 

Poi è presente e dovrei terminare qui queste poche pagine dedicate a te o forse a me. Ma ho premura di raccontarti qualcosa d’altro. Non voglio dire di metterti in guardia, non mi permetterei, ma di cercare di farti capire o intuire cosa dovrai affrontare nel corso di questa tua strabiliante avventura terrena. Non ti parlerò di doveri o di sesso, sono cose che imparerai presto e sulla tua pelle, queste e tante altre. Piuttosto vorrei parlarti di quegli atteggiamenti subdoli, striscianti che tutti, tua madre e me compresi, cercheremo di inculcarti fin da piccolissima per difenderti, ma che in realtà serviranno solo a proteggere le nostre convinzioni, insomma a crederti come ti vorremmo piuttosto a come sarai del tuo. Sai l’ignoto spaventa anche le persone più ardite, pure chi crede di innovare nuove strade. Tanto più se non si gioca sulla propria pelle, ma su quella di una bambina come te. Se fossi in gioco io, ad esempio, supererei la paura naturale del nuovo, ma solo se il gioco ne valesse la pena, lo farei. Non sarebbe neppure una cosa inedita. Ma non ci sono io nel sistema, ma tu, e il gioco non vale la candela.

Sono concetti scontati senza i quali non si può vivere nel nostro mondo e che, dopotutto, ci sono sempre stati, basta leggerla storia, i grandi del passato. Forse è vero che la storia insegna, anche se la storia, la storia della storia voglio dire, la fanno, la scrivono sempre gli altri, e per questo è fondamentale e importante, piccola mia, saper leggere e capire da soli il mondo che ci circonda e quello del passato, comprendere il più possibile secondo le proprie inclinazioni ciò che i testi e le immagini dicono. Per esempio ti sentirai spesso ripetere “ciò è morale o ciò è immorale”. Ma per una bambina non esiste né la moralità, né l’immoralità. Esiste quella degli altri, anzi quelle degli altri.

Se per esempio tra qualche anno i tuoi genitori lasceranno che tu te ne vada via spensierata in piena estate nuda per la spiaggia per farti sentire più libera e prendere più sole o, peggio, ti avvicinerai a un bambino anch’esso nudo e domanderai cosa sia quel coso che gli pende tra le gambe e che tu non hai o cercherai addirittura di toccarlo, ci sarà qualcuno che ti sgriderà, che ti dirà che non si fa, che è sporco e immorale. Non penserà che la tua è solo e unicamente curiosità e che non c’è nulla di male in quello che hai fatto, Freud e probabili anacronismi in genere a parte. Ma vedi, anche la curiosità è pericolosa per molti.

Adesso mi guardi fisso mentre succhi il tuo gioco preferito, un bruco di stoffa dai molteplici colori, a righe. Forse ti stai domandando perché quell’uomo che vedi tutti i giorni, che ti raccoglie dalla culla il mattino quando ti svegli e al quale sorridi, che ti prepara quelle pappe viscide o quei biberon pieni di latte e ti cambia complimentandosi con te se hai fatto una bella cacca, ti sta facendo questi discorsi strani. Sarebbe meglio se ti prendesse in braccio e ti facesse giocare così che potresti lanciare quei gridolini di gioia che lo fanno tanto contento o cercasse di rintracciare la mamma perché sono dieci minuti che non la vedi e ti sembra un’eternità e cominci a preoccuparti. Hai ragione, forse sono scemo e iperprotettivo, ma non ti farò una lezione di filosofia morale, non ne sarei in grado, vorrei solo farti capire delle cose, quelle che ho incontrato per la strada e con le quali anche tu avrai a che fare.

 

Dicevo che incrocerai lungo il tuo cammino una strana razza di persone, quelli che chiamano i “moralisti”. Stai attenta e se ti sarà possibile mantieni una discreta distanza di sicurezza da loro. È gente che vuole imporre agli altri, anche a te, il loro modo di interpretare il mondo, la loro maniera di vivere. Sia ben inteso tutti a questo mondo hanno il sacrosanto diritto di avere delle opinioni personali e di esprimerle, di comunicarle, ma il moralista cerca di imporle e usa la peggiore delle armi per ottenere ciò che si è prefissato, la disapprovazione sociale, la discriminazione se non, addirittura, la legge imposta.

Perché lo fanno? Se lo domandi loro ti diranno che lo fanno per te, per gli altri, per la società. Che devono difendere tutto ciò da chi vuole minarla con credenze assurde e contrarie alla tradizione, al buon vivere, insomma, alla morale. Non si domandano mai però perché la morale cambia attraverso i tempi, qualcuno direbbe si evolve.

Ci sono vari tipi di moralismo e sarebbe impossibile elencarteli tutti, ma quando ti troverai di fronte una di queste persone cerca sempre il lato ipocrita di ciò che stanno tentando di inculcarti. Voglio dire che non esiste una morale assoluta e che ogni morale nasconde una dose, spesso una grossa fetta, di immoralità e di ipocrisia. Certamente qualcuno cercherà, magari a scuola, di renderti partecipe dei grandi valori dell’epoca classica, degli eroi e dei miti del passato. Esalterà la temerarietà, l’onore e l’onestà, la filosofia greca e latina, il senso dello stato ecc… A quel punto chiedi loro cosa pensano del fatto che la nudità, il sesso, l’omosessualità erano argomenti comuni a quelle civiltà ed erano praticati senza nessun “pudore”, come d’altronde la tortura e la pena capitale.

Quando ti parleranno della grande stagione del Rinascimento Italiano, dell’amor cortese, dei cortigiani e delle grandi corti eleganti e colte, della religiosità dei mistici, chiedi che ti leggano l’Aretino, il Lasca, domanda loro perché i nobili ordinavano ai pittori quadri che ritraevano donne nude in atteggiamenti lascivi che poi intitolavano Venere di qualcosa o giovani nudi legati a colonne con il titolo di San Sebastiano. O perché quel quadro che si intitola Colazione sull’erba fece tanto scandalo, mentre ora i poster che lo ritraggono decorano le camerette dei bambini. Probabilmente non ti risponderanno. Non vorranno risponderti.

Perché fanno ciò? È semplice, perché hanno paura del nuovo, di ciò che è anche un poco più rilassato di quello che loro riescono a concepire. Inoltre spesso il moralista cerca attraverso il rigore verso determinati modi di essere o di idee di difendersi dal loro stesso atteggiamento, non vogliono in pratica riconoscere che essi stessi nascondono nel loro profondo lo stesso comportamento che aborriscono e ne hanno paura.

Dunque guardati da loro, sii sempre critica ma non pensare di avere sempre ragione e in fine, ma molto importante, ricordati che durante la vita si cambia. Muta il fisico, la voce, il modo di pensare, le credenze, insomma un po’ tutto. Chi dice che non cambierà mai o che è ancora quello di vent’anni prima è un ipocrita che sa di mentire o ne è talmente convinto che non riesce a vedere ciò gli altri scorgono con facilità in lui, il cambiamento.

E tutto ciò senza che tu venga a contatto con le teorie più o meno ufficiali. Etica cristiana, etica kantiana, utilitarismo ecc…, perché tutte hanno qualcosa di buono, ma molto di contestabile al tempo stesso. “E tu” dirai, “tu che morale hai?”. Non lo so, agisco al momento pronto a contraddirmi se serve. Voglio dire che in linea di principio sono il primo a sostenere che l’omicidio è qualcosa di terribile, che va punito e che io non ucciderei mai, neanche un animale. Ma nel mio intimo sento che se qualcuno tentasse di farti del male non esiterei a piantargli un coltellaccio da cucina nello stomaco o a fracassargli la testa con il primo oggetto contundente che mi capiti per mano. E ciò varrebbe anche per chi tentasse di far del male a una qualsiasi delle altre persone che amo.

Dunque cerca sempre di domandarti il perché delle cose. Sarà difficilissimo, anche per il fatto che quando sei nata ti hanno coperto d’oro e d’argento, e ciò non sarebbe neppure così grave, ma il fatto è che quegli oggetti non erano semplici oggetti, ma simboli che alludono a una morale ben precisa. Croci, angeli, madonne. Appena nata e già coperta di ipocrisie.

 

E poi alla fine ti abbiamo battezzato. Mea culpa, lo so. Ma l’ho fatto per l’unico motivo che poteva avere un valore per me, tua madre avrebbe sofferto molto se mi fossi opposto. Tua madre crede veramente, o crede di credere. Questo non lo so. Non è una bigotta, ben inteso, e neppure un’integralista. Ma la religione ha per lei un’importanza comunque superiore. La religione, il bon tone e la tradizione. Adesso, ad esempio, ti guarda con amore e mi dice: “Vedi come morde tutto, come porta tutto in bocca. Sta facendo i dentini.” E io, sadico e cinico, le rispondo: “No, a parte che è troppo presto per la crescita dei denti, è solo in piena fase orale, nel senso freudiano del termine, tra poco passerà a quella anale”. S’incazza come una iena, e forse è giusto così.

Vedi come è facile e a volte piacevole e necessario contraddirsi? Lo stesso vale per quel ciondolo che porto al collo, quella croce alla quale tu ti aggrappi quando il babbo gioca con te con la camicia aperta o ti coccola in spiaggia sotto l’ombrellone. Ma a dire il vero lo porto perché mi ricorda i tuoi bisnonni che me lo regalarono per la tesi di laurea.

E non spaventarti se parlo di contraddizione, tutta la cultura si basa su di essa, tutto ciò che è sociale e umano. D’altronde anche Wilde sosteneva che la coerenza è la virtù degli imbecilli. Ti sembrerà strano, ma pensa solamente al mito di Omero, meglio quello di Ulisse. Noi partecipiamo alle sue avventure e siamo esaltati dal modo in cui agisce tramite l’astuzia, da come inganna tutti gli altri personaggi, perfino gli dei. Insomma ammiriamo il fatto che è capace di usare ai propri fini la menzogna. Eppure ci insegnano ovunque, a scuola, dagli altari, attraverso i mass media, che solo la correttezza e la verità sono degni di essere seguiti e che la vita e la società stessa debbono fondarsi su questi principi. Ma ammettendo la nostra venerazione per Ulisse e per il mito che rappresenta, noi implicitamente approviamo che l’astuzia, la menzogna, l’inganno a volte possono essere giustificate e così confermiamo la nostra contraddizione, il vivere sempre sotto la sua ombra.

Non voglio fare di te un’atea, non lo sono neppure io in fondo, ma vorrei che tu conoscessi le cose per come sono e che sappia un giorno distinguere ciò che è la religione e, se vuoi, la fede e ciò che è l’istituzione religiosa, con le sue regole e i suoi precetti creati per esercitare il potere.

Penso, piccola mia, che se c’è, e probabilmente esiste (mettiamo pure le mani in avanti), un dio, che si chiama magari Gesù, non si interessi tanto a chi manifesti la propria fede. Sicuramente se ne frega di chi ostenta la propria religione andando a messa o celebrando riti simbolici che appaiono molto simili a quelli pagani. Considera chi venera la statua della Madonna o di un santo e sappi che la religione cristiana aborrisce ogni manifestazione visiva, l’immagine è di per sé proibita. Vatti a vedere il concilio di Nicea e vedrai che si è permesso di rappresentare l’immagine di Cristo e della sua vita solo per un motivo: educare il popolo ignorante a quel credo. Popolo allora troppo incolto per ascoltare la parola e interpretarla: meglio farlo con le immagini. Più immediate, più facili. Solo per questo si rappresentano le immagini divine che altrimenti sarebbero vietate come nell’Ebraismo, dal quale il cristianesimo deriva, come nell’Islam.

Vedi, ancora una scelta umana, politica. Il cristianesimo è una religione spiritualistica, non ammette rappresentazioni di se stessa, ma se ciò è necessario per diffonderla, per impressionare (cara cultura barocca), per intimorire o spiegarne il senso secondo concetti predisposti, bé, si può anche contravvenire a uno dei Comandamenti fondamentali: Non nominare o rappresentare il tuo Dio invano.

Dopotutto se Gesù c’è, sa benissimo in quale animo è celato il suo segreto e il suo messaggio. Sa scegliere i giusti, che poi è la traduzione esatta di santi. E per questo credo che molti santi e papi e uomini di chiesa siano finiti e finiranno all’inferno, sempre ammesso che un dio creatore possa condannare le proprie creature. Ipocriti che si sono legati a riti e a consuetudini sicuri che la tradizione, l’istituzione potesse salvarli e farli buoni cristiani.

Sai se leggerai il Vangelo troverai che lo stesso Gesù diffidò i propri discepoli nel credere nelle istituzioni religiose e di affidarsi piuttosto alla propria fede che è qualcosa di molto intimo e personale.

Domandati quanto prima e, con tutta sincerità, risponditi alla domanda: cosa contraddistingue un atteggiamento religioso? Risposta: nel rifiutare le cose per quello che sono, almeno finché è conveniente farlo. In duemila anni di storia la chiesa si è continuamente contraddetta, adeguandosi sempre in ritardo al mondo che la circonda e creando non pochi casini, soprattutto in uno Stato che proprio laico non è come il nostro.

L’insegnamento di Cristo è certamente buono, valido, ma appunto quello di Cristo che è parecchio diverso da quello delle chiese, specie di quella cattolica. Ogni volta che qualcuno di dirà che una cosa, un’azione è sbagliata perché lo dice Cristo, domandagli: dove è scritto? e vedrai che pochi sapranno citarti il Vangelo, primo perché non lo hanno letto, secondo perché proprio non ci sta. Piuttosto ti rinvieranno ad Agostino, a Tommaso, a Girolamo che con la sua Vulgata ha creato più caos di una esplosione nucleare. Almeno le radiazioni non permangono nell’aria più di duemila anni avvelenandola.

Come posso dire ciò? Semplice, perché il tuo babbo si è preso l’incomodo di leggere l’Antico e il Nuovo Testamento, più di una volta e, ti garantisco, sono due capolavori. Anzi si è letto anche la Bibbia Ebraica perché vedi, quando andrai al catechismo, se mai ci andrai, nessuno ti dirà che quelle storie di Abramo o di Giobbe, soprattutto i Salmi, che sono poesie bellissime, non sono del tutto originali, ma sono state adattate al cristianesimo. Come non ti informeranno del fatto che i vangeli non sono quattro, ma molti di più e che qualcuno a un certo punto della storia si è permesso di fare una cernita, questo sì e questo no, e quelli del sì, naturalmente, erano quelli più vicino al suo modo di pensare e a come voleva che gli altri pensassero. Sarà la parola di Dio, ma la scelta è stata tutta umana.

Però c’è anche un altro motivo, tuo padre si pone delle domande alle quali non sa sempre rispondere, ma almeno ci prova. L’istituzione religiosa ti imporrà dei comportamenti giusti secondo la propria visione. E tu domandati, o domanda loro, “Perché dovrei comportarmi in questo modo?”. Ti diranno perché è la volontà di Dio. Cioè, se vogliamo tradurlo nel linguaggio più semplice e più sincero, perché altrimenti, in un modo o nell’altro, sarai punito. E questo è già un motivo per mettere in dubbio quell’autorità.

Non voglio annoiarti con questione squisitamente filosofiche, come quelle sulla prova dell’esistenza di Dio, o altro. Sono solo speculazioni, non si può provare l’esistenza di Dio, o ci si crede o non ci si crede. L’importante è che se tu un giorno deciderai di crederci lo faccia non per paura di una punizione, magari dopo la morte.

Ma vedi troverai comunque sempre qualcuno pronto a dirti che nella religione sta il principio della felicità. Ma quale felicità? Naturalmente quella che si pone come meta un aldilà, perché la felicità non è di questo di mondo, secondo loro. È una logica perversa che professa la ricompensa per chi ha sofferto in questo mondo e, se ben sai leggere le cose, altro non è che una credenza che fa molto comodo a chi detiene il potere e, guarda caso, ogni élitte ha cercato sempre di inculcarla ai propri sudditi. Per fortuna c’è stato chi, e dovrai studiartelo spero, magari male, ma lo dovrai studiare, ha osato liquidare questa logica come la “morale dei servi”, più o meno, un conforto per quelle che definisce le vittime della storia. Chi fu questo genio? Tal Friedrich Nietzsche.

Ora basta con la religione e, d’altronde, ti si stanno chiudendo gli occhi, lentamente, con Mister Been stretto tra le braccia. Quell’orsetto di pezza forse è già per te un dio, o forse lo è tua madre, o forse io.

Comunque sia ricorda che io ti ho parlato della religione cristiana, anzi della confessione cattolica, ma ciò vale per tutte le fedi. “Ma almeno questa non uccide migliaia di persone con le bombe o tortura e lapida le donne per motivi banali”. A parte che l’ha fatto per secoli e non in maniera meno crudele. Prova a paragonare in termini di rapporto numerico di vittime e popolazione mondiale quelle del folle, assassino, blasfemo, demoniaco attacco alle Torri Gemelle e la strage dei catari. Ciò che fece quel Papa in nome di Dio equivale, sempre in rapporto numerico rispetto la popolazione mondiale di allora, a quello che hanno realizzato Hitler, Stalin e Pol Pot assieme.

Per fortuna l’Occidente ha avuto il merito di accorgersi più o meno in tempo di cosa stava accadendo a dare troppo potere e retta alla religione, santa cultura classica greco-romana che il concetto di libertà sapeva bene cosa fosse, e santo Illuminismo, e si è liberato almeno in parte di tutte quelle superstizioni, ma chi ci garantisce che se la chiesa avesse ancora il potere di un tempo non si comporterebbe come i terroristi?

Attenzione, io non li giustifico e neppure sono indifferente alle loro azioni. Anzi aborrisco il loro fondamentalismo, aborrisco la loro presunzione, aborrisco la loro violenza ideologica e non, aborrisco la loro superbia. Ti dirò di più, non accetterò mai che la loro cultura si sovrapponga alla nostra o addirittura la scalzi, posso al limite tollerarla, ma ritengo che siano loro principalmente a doversi adeguare alla nostra, come fanno gli ebrei, i buddisti, i sic che vivono nel nostro Paese.

Insomma ci tengo alla mia identità. È una parolina nuova questa? Troppe dovrai impararne e sicuramente mi stupirà osservare come lo farai rapidamente. Ma non basta imparare a pronunciare una parola, è necessario anche sapere, conoscere cosa significa e quali implicazioni ha. Questa per esempio, “identità”, è una parola molto pericolosa al giorno d’oggi, te ne accorgerai, anche se spero vivamente che quando sarai grande tu siano problemi superati, anche se venti anni nella storia sono poco più che un soffio nella burrasca.

 

Mi sono dimenticato di dirti una cosa, quello che chiamano credo cristiano si dovrebbe fondare soprattutto sull’amore. E qui si apre un altro capitolo complicato.

Il mito dell’amore ti inseguirà per tutta la vita e alla fine, spero, riuscirai a fartene una tua idea del tutto personale che non sarà certezza, ma almeno ti eviterà di essere sballottata tra mille teorie e opinioni. Sì, perché dell’amore sentirai parlarne molto presto, anzi già ne sei vittima, per esempio, quando ci guardi con gli occhi sgranati, o mentre urli per il mal di pancia o ridi felice e chi ti sta davanti ti dice con l’espressione facciale adeguata: “Amore del babbo”, “Amore della mamma”, “Amore di chi chessò io”.

E poi ci saranno le principesse che aspettano il principe azzurro, il principe azzurro che risveglia la principessa sconfiggendo draghi che sputano fuoco e recidono foreste di arbusti spinosi, ecc… Il babbo provvederà a fornirti spiegazioni psicoanalitiche o propperiane al più presto. Non che ci creda del tutto, ma aiutano a smitizzare l’amore e a farlo riconoscere per quello che è veramente.

Perché vedi l’amore è un concetto grandissimo e profondissimo e, soprattutto, non è assoluto. Sono molte le facce dell’amore e il significato che si dà ad esse. Ognuno di noi ha una propria visione dell’amore e io non posso che parlarti della mia. Sono sincero non mi invento nulla. Imparerai presto quanto tuo padre sia pigro e se c’è qualcosa di già fatto o di già detto e di appropriato non trova una ragione sufficientemente intelligente per andare a impazzire per trovarne un’altra. Tutt’al più la vestirà di un altro significato, non per nulla il suo artista preferito rimane Duchamp. E così ti dirò che mi sento molto, molto vicino a come i greci dell’età classica lo consideravano. Anche loro ritenevano che l’amore avesse diverse manifestazioni.

C’era l’agape, quello che noi potremmo definire l’amore altruistico, che ci spinge a fare qualcosa per gli altri. Fai attenzione, non confonderlo con la carità, che è un’invenzione abnorme e di comodo. Nonostante quello che si dice la stramaggioranza delle persone operano la carità con un unico fine: soddisfare se stessi. Per guadagnarsi il regno dei cieli, per sopprimere quel senso di colpa che si prova di fronte a chi non ha o non può, o è incappato in problemi di salute o fisici, mentre il proprio patrimonio o il proprio prestigio è magari immeritato, per farsi pubblicità ecc…, insomma per fine utilitaristico. E nel novanta per cento dei casi questa carità o solidarietà, chiamala come vuoi, non comporta nessun sacrificio per chi la opera. E anche quando c’è del sacrificio stai pur sicura che il guadagno lo supera.

Per come lo vedo io l’altruismo è qualcosa di istintivo, non ci si pongono domande, non si fanno ragionamenti, si agisce e basta, anche se si commette una cazzata e, alla fine, tutto si rivolgerà contro di te. Per questo è molto difficile essere altruisti.

Sia ben inteso, un altruismo di questo tipo può essere pericoloso e stupido. Voglio dire che si può essere istintivamente portati a dare lavoro a un clandestino con moglie e due figli, tanto per fare un esempio attuale, ma è evidente che si fa una stronzata, anche perché voglio poi vedere se lo si paga regolarmente.  Detto in parole povere l’altruismo non esiste, perché c’è sempre dietro un tornaconto, fosse anche solo il proprio piacere, il gusto di essere stati utili.

Ti dicevo che per me l’altruismo dovrebbe comunque essere istintivo, ma vedi l’istinto non è sempre una buona cosa. Ti accorgerai che io spesso agisco d’impulso e sovente sbaglio e poi mi pento e riesamino tutto sotto un’altra luce, quella della ragione e le cose di norma si sistemano. Spero che tu anteporrai la ragione all’istinto, sarà meno divertente, ma ti renderà la vita più semplice.

Distinguevano i greci poi il pràgma, quel sentimento che subentra tra due persone dopo anni di matrimonio. Te l’ho già detto, l’amore eterno, la passione eterna non esistono. Nel tempo diviene comprensione, attaccamento profondo che può anche incidere sul comportamento amoroso, nel senso che il solo pensiero di poter fare del male all’altro evita al soggetto di innamorarsi di un terzo. Insomma la mania, come la nominavano i greci, l’amore passionale e delirante può non ripresentarsi nel corso della vita dopo una prima volta.

Non credo che sia mai esistita una persona che non sia innamorata almeno una volta nella vita. E l’amore passionale è qualcosa di travolgente, qualcosa in cui la razionalità non trova nessun pertugio per affacciarsi alla mente. Ci si innamora di tutto ciò che è l’altra persona, dagli odori ai difetti, alle contraddizioni. Si diviene cechi, sordi, insensibili al resto della vita.

Ma non sognarti un amore trobadorico, cavalleresco o romantico. Quelle sono invenzioni letterarie. Ai tempi in cui sono state diffuse erano veramente pochi gli esseri umani che si sposavano per amore, era piuttosto il matrimonio un accordo economico esteso a tutte le classi sociali.

Non so dirti quante volte ti innamorerai, una, due, dieci. Ti auguro il meno possibile, perché l’amore è anche sofferenza, dolore. E non credere quando ti diranno che l’amore più doloroso è quello adolescenziale, il primo amore. In quel caso, vedi, tutto si gioca unicamente col sentimento. La razionalità scompare e si può arrivare ad agire in maniera assurda. Ma quando sarai adulta questa istintività sarà combattuta da una serie di altri fattori. La ragione cercherà, per fortuna, di prendere il sopravvento e, anche se non vi riuscirà, sarà sempre lì in agguato a controllare il tuo comportamento. Poi interverranno elementi sociali, la posizione, l’opinione degli altri ecc… Soffrirai molto di più e si stabilirà dentro te una lotta che non conosce pari, una lotta dalla quale il più delle volte uscirai sconfitta e distrutta, ma ti auguro di saper sempre ricominciare.

In fine vi era lo storghé, amore che si prova per i fratelli o per i compagni d’arme. Era questa la forma più alta d’amore per i greci. Anche secondo me è una forma molto alta che estendo alla famiglia, il sangue è sempre sangue e non è possibile non amare chi ti ha accudito, cullato, curato, protetto ogni volta che ne avevi bisogno, forse e a volte, anche in maniera eccessiva.

Qui entra in gioco anche l’amicizia che è un sentimento grandissimo. Coltivale sempre le amicizie, anche se dovrai per forza di cose cercare di capire se sono sincere. E anche le amicizie più salde e sincere nascondono tranelli infimi. Si è portati, a volte, a credere nell’amico in maniera totale, quasi fosse un innamorato o un’innamorata. È un errore.

Può accadere, per esempio, e non di rado, di domandare agli amici più cari, quelli che chiameremmo quasi fratelli, cose che non sono lecite e che danneggiano altri. Ricordati sempre ciò che disse Cicero per bocca di Lelio: “non si dovrebbe chiedere all’amico azioni indegne, né commetterle se richieste”. È una legge dura e difficile da seguire, ma è anche di estrema utilità. So che è ipocrita, ma se potrai, se ne avrai la possibilità e il coraggio, a costo di perdere quell’amicizia, seguila.

Poi le amicizie veramente durevoli sono molto poche nella vita. La gente cambia con il passare del tempo, cambiano le opinioni, mutano gli affetti, le tendenze politiche, gli interessi generali. Capiteranno anche situazioni imprevedibili, come, ad esempio, che la tua migliore delle amiche si innamori o s’invaghisca del tuo fidanzato (che sarà vagliato con estremo scrupolo dal babbo, sia ben inteso!), o faccia la cretina con lui solamente perché è gelosa del tuo affetto.

In altre parole, stai bene attenta a sceglierti le amiche e gli amici.

1 commento su “PAURA D’AVERTI (2).”

Lascia un commento