POSTUMANO E EDUCAZIONE

Il postumano è già qui, ci stiamo vivendo dentro e non rappresenta una minaccia, ma una possibilità di evoluzione, l’unica forse, e va accettato e condiviso, come perfino gli ultimi tre Papi hanno sottolineato, pur non estremizzando le loro posizioni, proseguendo in una via aperta già da Paolo VI. Tuttavia le resistenze sono molte, soprattutto da parte di quegli ambienti e quelle persone che perseguono ancora una visione “umanistica” del mondo e dell’uomo, “antropocentrica”, mentre sarebbe utile indirizzare, seppur in senso critico, le giovani generazioni verso queste “nuove” strade. Possono essere utili a chi lavora e opera nel campo dell’educazione queste poche righe di Riccardo Campa estratte da un suo lavoro già noto dal 2017 e dove affronta direttamente il problema.

Da R. Campa, Il fascino inquietante dell’ultraumano. Teilhard de Chardin e la ricezione del suo pensiero nella chiesa cattolica, in Orbis Idearum, Vol. 5, Issue 2 (2017), pp. 103-105.

ALCUNE CONSIDERAZIONI DI CARATTERE PEDAGOGICO

Se tutto quanto abbiamo detto finora ci racconta davvero qualcosa sulla direzione che il mondo ha intrapreso, il compito che attende oggi gli educatori è molto delicato, molto più di quanto non lo sia stato in passato. Il mondo e l’uomo sono più volte mutati nel corso della storia, ma il cambiamento sembra oggi soggetto a un’accelerazione. In passato, ciò che pareva degno di essere conosciuto a una generazione poteva essere trasmesso a figli e discenti, senza prestare troppa attenzione al fatto che la società, l’uomo, le specie viventi e l’intero universo sono in costante evoluzione. Assumere l’invarianza di uomo e mondo è stata per lungo tempo un’approssimazione del tutto legittima.

Nel momento in cui nuove scienze e nuove tecnologie – come l’ingegneria genetica, la biomedicina, la robotica, l’intelligenza artificiale, la biomeccatronica, la nanotecnologia, ecc. – sono apparse sul palcoscenico della storia e hanno iniziato a trasformare radicalmente non soltanto l’ambiente, ma l’uomo stesso, ovvero nel momento in cui alla consapevolezza dell’evoluzione si è aggiunto l’atto autoevolutivo, la presunzione di invarianza della realtà naturale e sociale nell’ambito dell’educazione è diventata problematica.

Non si tratta soltanto di mettere in questione un modello educativo che potrebbe formare specialisti in discipline destinate a diventare presto obsolete, generando disoccupazione tecnologica1. Anche se ponessimo con forza il nobile ideale di una educazione integrale, di una educazione che mira a formare l’uomo in quanto uomo2, non potremmo sottrarci alla questione del destino di quest’uomo pienamente formato nel contesto di uno sviluppo delle specie viventi e dei macchinari che tende all’ultraumano, al transumano, al postumano.

Questa tendenza è osservabile e sembra inarrestabile. Non si deve infatti compiere l’errore di associare il processo di evoluzione autodiretta a quegli studiosi che hanno dato ad essa un nome – il nome di “transumanesimo” – e che

la promuovono sul piano ideale. Anche se non esistessero intellettuali sedicenti “transumanisti”, ci sarebbero comunque migliaia di dipartimenti di ingegneria, di laboratori scientifici, di aziende hi-tech, in Europa come in Asia, in America come in Australia, che giorno dopo giorno forgiano gli elementi che conducono all’emersione dell’ultraumano, del transumano, del postumano. Quello che chiamiamo “transumanesimo” – ma che avremmo anche potuto chiamare “ultraumanismo”, per meglio aderire alla terminologia teilhardiana – non è altro che la consapevolezza del percorso e della direzione che la società umana ha intrapreso da alcuni secoli.

Le nuove tecnologie, come spesso si ripete, portano con sé opportunità e rischi. L’educatore che non volge lo sguardo al futuro rischia di abbandonare i propri figli e discenti in una terra incognita, privi degli strumenti necessari per cogliere le opportunità e fronteggiare i rischi. D’altro canto, non basta nemmeno tenere presente la questione dell’evoluzione autodiretta nei propri insegnamenti per esaurire il proprio compito di educatore. È necessario trovare un delicato equilibrio anche nella valutazione del processo. Se si ammette che la trasformazione

in corso è inarrestabile – come del resto ammettono Joseph Ratzinger, Camillo Ruini, monsignor Galantino e papa Francesco – i genitori e gli insegnanti che esagerano i rischi connessi alla trasformazione, o addirittura instillano nelle nuove generazioni sentimenti tecnofobici, rischiano di formare persone destinate all’infelicità e alla marginalizzazione. Nondimeno, un eccessivo entusiasmo e un’adesione acritica alla trasformazione tecnologica potrebbe portare con sé il pericolo, per i nostri figli e discenti, di una perdita di controllo sulle proprie vite e sul processo in cui saranno immersi. È un dilemma, come si può comprendere, di non facile soluzione, proprio perché non conosciamo i contorni esatti di ciò che ci attende.

Su una questione ci pare però di poter mettere un punto fermo. Se le conclusioni alle quali giunge [Padre] Teilhard de Chardin hanno un fondamento, ovvero se ciò che oggi chiamiamo “transumanesimo” non è il sogno di pochi visionari che hanno improvvisamente deciso di mettersi alle spalle i valori della tradizione, ma il culmine del movimento evolutivo dell’uomo, delle specie viventi e forse dell’intero universo, additare pregiudizialmente la tensione verso il transumano come un abominio, oltre a non fornire alcun contributo concreto alla soluzione di problemi, altro non sarebbe se non un ritorno alla logica del contemptus mundi.

1 Su questo tema abbiamo scritto molto. Segnaliamo i seguenti lavori: R. Campa, Automation, Education, Unemployment: A Scenario Analysis, «Studia Paedagogica Ignatiana», Vol. 20, Issue 1, 2017, pp. 23-39; Id., Humans and Automata. A Social Study of Robotics, Peter Lang, Frankfurt am Main 2015; Id., Technological Unemployment. A Brief History of an Idea, «ISA e-Symposium for Sociology», Vol. 7, Issue 19, 2017, pp. 1-16; Id., The Rise of Social Robots: A Review of the Recent Literature, «Journal of Evolution and Technology», Vol. 26 Issue 1 – February, 2016, pp. 106-113. Id., Technological Growth and Unemployment. A Global Scenario Analysis, «Journal of Evolution and Technology», Volume 24, Issue 1, 24 february 2014, pp. 86-103; Id., Workers and Automata. A Sociological Analysis of the Italian Case, «Journal of Evolution and Technology», Volume 24, Issue 1, 24 february 2014, pp. 70-85.

2 Questo è notoriamente l’ideale educativo di Giovanni Gentile, per il quale educare non significa addomesticare, istruire a compiere un lavoro, ma emancipare, rendere indipendente, capace di deliberare, di scegliere un corso d’azione piuttosto che un altro. E proprio in questa capacità morale di discernimento si deve vedere il tratto essenziale dell’uomo pienamente formato. In altri termini, «l’educazione si propone, indubbiamente, di sviluppare nell’uomo la libertà, poiché educare è far l’uomo; e l’uomo è degno del suo nome quando è padrone di sè, con la iniziativa e la responsabilità de’ suoi atti, con la coscienza e il discernimento delle idee che accoglie, professa, afferma, propaga; sicché tutto quello che fa, dice e pensa, si possa dire veramente che sia egli a farlo, dirlo e pensarlo. E noi abbiamo creduto di avere infatti educato i nostri figliuoli, quando essi, cresciuti che siano, dan prova di non aver più bisogno della nostra guida e del nostro consiglio; e l’opera nostra di maestri è conchiusa». G. Gentile, La riforma dell’educazione: discorsi ai maestri

di Trieste, Sansoni, Firenze 1975. Edizione elettronica: <liberliber.it>, 8 gennaio 2015, p. 49.

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