SCHEDE D’ARTE: LE SEI “MUSE” DI GIOVANNI SANTI.

 

Quando si cita Giovanni Santi viene subito in mente Raffaello suo più illustre figlio e non si considera che il pittore urbinate, tra l’altro ritrattista di corte di Federico da Montefeltro e di altre rinomate corti italiane, è stato un più che valente artista e un interprete importante del suo tempo e del clima artistico-culturale che in esso regnava. Oltre a valente poeta, si ricordi la sua Cronica rimata in cui traccia una vera e propria storia dell’epoca di Federico, fu ottimo pittore e le sue opere oggi, oltre quelle conservate nella Galleria Nazionale delle Marche al Palazzo Ducale di Urbino e in varie zone delle Marche, sono presenti in diversi musei italiani, tra le quali particolare interesse può destare la serie de le Muse, conservate alla Galleria Corsini di Firenze.

Sono rappresentate le Musa Polymnia (musa degli inni religiosi), Clio (musa della storia), Calliope (musa della poesia epica), Tersicore (musa della danza e del canto), Erato (musa della poesia lirica e amorosa) e Melpomene (musa della tragedia), su sei tavolette di cm. 82×39 l’uno.

In alcune corti italiane, intorno alla metà del ‘400, torna in uso la rappresentazione delle Muse, divinità greche e romane delle arti, e che erano state sostituite, durante il Medioevo, dalle rappresentazioni delle Arti Liberali del Trivio (Grammatica, Dialettica, Retorica), e del Quadrivio (Geometria, Aritmetica, Astronomia, Musica).

Le rappresentazioni del Santi erano poste nella Cappella delle Muse nel Palazzo Ducale di Urbino, sita accanto alla Cappella del perdono. Per ben comprendere l’importanza di questi dipinti e bene spendere due parole sul significato della loro collocazione nella Cappella delle Muse. Il fatto che non decorino lo Studiolo del Duca, come accade invece a Ferrara nel Palazzo di Belfiore ora andato distrutto, ma uno spazio tutto dedicato a loro, ne sposta il significato da “compagne del signore” a “ispiratrici del fervore artistico” e, più in generale, intellettuale.

Infatti, rispetto alle rappresentazioni delle muse presenti nei palazzi delle altre corti italiane come Ferrara e Mantova, nelle quali risalta il tema mitologico, quelle del Santi rivestono un carattere del tutto particolare. Non si possono dire infatti immagini pagane e che a quel tipo di arte rimandano. Le sue sono figure statiche, rigide persino negli abiti e nella natura alle loro spalle che appare quasi primitiva. Insomma sembrano più derivate dagli angeli medioevali, tanto che sono intrise di una sorta di atteggiamento religioso più che di leggerezza classica. Non è da escludere l’influenza del suo mestiere di scenografo, poiché le Muse sembrano derivare anche dalle figure lignee che si appendevano durante la celebrazione di cerimonie e feste di corte. Questa “rigidità”, che evoca i santi medioevali, in verità esprime bene il significato che l’uomo rinascimentale dava al “sapere”, cioè di sintesi tra la concezione della vita spirituale (e religiosa) e quella intellettuale ed artistica.

Ciò è testimoniato anche dalle scritte poste l’una all’ingresso dei due tempietti che recita: “HAEC QUICUMQUE PETIT MNDO PIA LIMINA CORTE PETIT AETERNI FULGIDA REGNA POLY” (Chi si avvicina a queste sacre spoglie con cuore puro si accosta ai fulgidi regni del cielo), mentre nella seconda si legge: “BINA VIDES PARVO DISCRIMINE IUNCTA SACELLA – ALTERA PARS MUSIS ALTERA SACRA DEO EST” (Tu vedi due templi separati da una piccola parete, l’uno è sacro alle Muse l’altro a Dio). E infine a suffragare l’alto concetto della cultura umanistica del tempo, fa fede l’iscrizione che corre in alto lungo i muri della Cappella delle Muse: “QUISQUIS ADES LAETUS MUSIS ET CANDIDUS ADSIS FACUNDUS CITHARAE NIL NISI CANDOR INEST” (Chiunque tu sia avvicinati felice alle Muse e sereno accostati ispirato dal suono della cetra, non c’è nulla qui dentro se non bellezza).

Vi sono ancora influssi fiamminghi, di Piero della Francesca, di Melozzo da Forlì, ma anche di Botticelli, soprattutto nella tensione delle linee e nei movimenti.

Nel 1631, per volere del cardinale Antonio Barberini, furono asportate dalla loro sede originale per passare poi nelle mani del Duca di Castelvecchio, Carlo Felice, e poi della Principessa Corsini.

 

(Da, E. M. Guidi, Giovanni Santi, Ed. Montefeltro, 2009, p. 24).

Lascia un commento