TUTTO È CAMBIATO.

Tutto cambierà. Tutto è già cambiato. Se in meglio o in peggio non so e non mi interessa. Forse l’animale umano ha capito di non essere un ente superiore, prediletto, predestinato? No! Ma ha capito che può avere paura, paura a livello globale. Non un sisma o un tsunami che sono là, nel televisore o a centinaia, migliaia di chilometri di distanza. Ora è qui, fuori dalla porta di casa o anche dentro. Fa paura.

Gli affetti, l’amore si fanno piccole cose, superflue di fronte a questa paura, tranne forse nei confronti di chi più preme, figli, fratelli, forse coniugi, genitori ammesso che non si pensi: Dopotutto la loro vita l’hanno già vissuta. È la presa di coscienza che la tecno-scienza non è stata in grado di sconfiggere il virus, quell’essere piccolo, minimo, quasi inesistente. Quasi. Ce la farà, ma è stata, ed è lenta, non ha avuto quella immediatezza, quella prontezza di performance di fronte al pericolo che mostrano le verità delle fiction televisive, cinematografiche o del web. E ciò fa paura.

L’emergenza ha fatto capire che anche i progetti sono precari, illusori, si fanno, ma non hanno un senso per il tempo, perché tutto può cambiare, per il caso; un orientale mangia, come d’abitudine, un pipistrello dall’altra parte del Mondo e migliaia di persone muoiono, società vanno in tilt, stati e economie rischiano il crack, le libertà personali sono quasi soppresse,  a meno che non si creda che di nuovo un uomo vestito di bianco veda un angelo rinfoderare la spada su qualche moderno mausoleo di un despota o di un cantante, o di un presentatore, o di un politico, o di uno scienziato, o di un magistrato, o di un medico o di chiunque frequenti lo star system. La casualità vince sulla causalità. E fa paura.

Il futuro stesso non ha più un gran significato, ci si è resi conto che il futuro non esiste e che quando esisterà, e non sarà allora più futuro, potrà anche annientarti. Come il passato non esiste, sono solo immagini che scorrono sul video e quando scorrono sono confusione tra passato e presente, perché descrivono il passato, ma sono nel presente. I camion pieni di feretri in fila, dall’obitorio dell’ospedale al cimitero, un’immagine che passa. Tolta la didascalia Sfilata di camion militari con bare a Bergamo, e sostituita con Camion in fila, Operazione Horizont a Gaza, il senso cambia. Sono sempre gli stessi camion, ma un passato e un presente confusi e differenti. Ma la paura rimane. O svanisce, cancellata con tutte le immagini, e si può andare a ballare senza protezione: “Non c’è più Coviddi, non c’è”.

Tutto è cambiato, si legge negli occhi degli altri e nei propri allo specchio. Perfino il corpo è cambiato. Il volto coperto, le mani screpolate dai tanti lavaggi e detergenti, i chili accumulati, l’imbiancatura in alcuni dei capelli, le articolazioni indebolite dall’inedia, la pelle di un colore più tenue. La cura di sé, del sé superfluo, trascurata, tante ragazze struccate al supermercato. A scuola forse mancherà il socializzante assembramento al bagno durante l’intervallo, tanto per essere banali.

Paura. Sana, profilattica paura o indifferenza, ignoranza, senso adolescenziale di onnipotenza, negativismo per potere, per interesse. Tutto è cambiato. Passerà, e si tornerà alla normalità, ma non sarà più lo stesso, sarà una normalità altra. Si arriverà forse, si spera, in un futuro (magari più prossimo di quel che si possa creddfere, pensate a Peter Scott Morgan) a un ultrauomo immortale o quasi, a un postuomo, ma ancora non c’è e quindi c’è solo nuova paura e la paura cambia tutto e tutti, fuori e dentro.

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